L’unico rifugiato in Francia per il quale effettivamente stava per scattare la prescrizione della pena, che per il codice penale italiano arriva quando è decorso un tempo pari al doppio della condanna, non l’hanno preso. Per l’ex brigatista, ora in fuga, Maurizio Di Marzio, la data limite sarebbe quella del 10 maggio. Prescritta sarebbe anche la pena alla quale è stato condannato Luigi Bergamin, ex Pac, se non fosse stato dichiarato il mese scorso «delinquente abituale» (malgrado il suo ultimo delitto risalga a 40 anni fa) dalla giudice di sorveglianza. Anche lui è adesso in fuga, il suo difensore a Milano ha presentato istanza di prescrizione. Per tutti gli altri rifugiati in Francia obiettivo del blitz di ieri, il terzo che si è reso latitante Raffaele Ventura e i sette arrestati (Marina Petrella, Giovanni Alimonti, Enzo Calvitti, Roberta Cappelli, Sergio Tornaghi, Narciso Manenti e Giorgio Pietrostefani), la prescrizione non è proprio dietro l’angolo. Ma quando tre settimane fa la ministra della giustizia italiana Marta Cartabia ha avuto il primo incontro (online) con l’omologo francese, l’avvocato penalista Dupond Moretti, lo ha trovato preparato sul calendario delle prescrizioni delle pene degli ex terroristi: aveva uno schema con sé.

Anche se si congratula per il risultato «di portata storica», la ministra della giustizia italiana non partecipa al coro della politica italiana, di governo o di opposizione di destra, che dagli arresti francesi trae motivo di orgoglio nazionale. Al contrario in via Arenula si sottolinea come la svolta sia stata soprattutto francese, a fronte di richieste dall’Italia che erano tutte già pendenti. Ha pesato, si riconosce, la convenzione di Dublino sull’estradizione ratificata dal nostro paese nel maggio 2019 (e i 5 Stelle ne rivendicano il merito all’ex ministro Bonafede) perché adesso è previsto esplicitamente che il paese che riceve la richiesta (la Francia in questo caso) debba rispettare i tempi di prescrizione del paese richiedente (l’Italia). Ma più di tutto ha pesato «il superamento del nodo politico, la decisione di far arrivare alle autorità giudiziarie quei fascicoli mai trasmessi». Il cambio di fase voluto da Macron per evidenti ragioni interne, comunicato a Draghi nella telefonata che c’è stata una decina di giorni fa di cui ha dato notizia non a caso l’Eliseo, sottolineando che «la Francia, anch’essa colpita dal terrorismo, ha voluto risolvere questo problema come l’Italia chiedeva da anni». «La memoria di quegli atti barbarici è viva nella coscienza degli italiani», ha voluto ricordasre il presidente del Consiglio italiano, anche lui molto «soddisfatto» per questi arresti arrivati dopo quarant’anni.

La ridda di dichiarazioni festanti che vanno dal Pd a Fratelli d’Italia, comprese esplicite rivendicazioni di una giustizia amministrata per compensare le vittime, finisce per travolgere quella che era parsa l’impostazione della nuova ministra, che nelle sue prime uscite aveva insistito sul valore rieducativo della pena che non dev’essere vendetta, sulla giustizia riparativa e sulle alternative al carcere. «Mi tocca fare una profonda autocritica per aver salutato come un’iniezione di speranza per l’umanizzazione delle condizioni di detenzione e per i diritti dei detenuti la nomina di Marta Cartabia», dice Sergio Segio, ex di Prima Linea che ha scontato 22 anni e da tempo è impegnato con il gruppo Abele.

In via Arenula insistono sul fatto che l’azione dell’Italia non è ispirata da «sete di vendetta». Assicurano che non viene meno l’impostazione favorevole alla giustizia riparativa e al valore costituzionale della funzione rieuducativa del carcere, «ma non ci può essere senza prima un passaggio di verità». E scomodano un paragone ingombrante, la commissione per la verità e la riconciliazione del Sudafrica post apartheid. Che però è stata più una storia di giudizi politici e amnistie che non di sentenze e di tribunali penali.

Sul fatto che questo blitz francese, che l’Italia ha richiesto e spinto, avrà però come risultato quello di riportare in carcere persone anziane, lontane dal passato violento e soprattutto da tempo inserite nella vita sociale francese, dal ministero della giustizia invitano ad attendere gli esiti delle valutazioni delle autorità giudiziarie francesi. Saranno loro a decidere se ci sono le condizioni «per età, storia personale e condizioni di salute, per andare in carcere e per essere estradate. Valutazioni che potrebbero anche essere diverse caso per caso». Non è detto che l’estradizione sia concessa per tutti, sono possibili provvedimenti diversi come la revoca del passaporto. E sopratutto, assicurano in via Arenula quasi a coprire le grida di giubilo di Salvini, non rivedremo mai un video come quello che esibì le manette di Battisti e il volto soddisfatto dell’ex ministro Bonafede.