C’è voluta una settimana dalla chiusura delle indagini della Procura di Roma sul sequestro, le torture e l’omicidio di Giulio Regeni, perché il governo si esprimesse. Lo aveva fatto  il primo ministro Conte in sede europea, ma solo ieri si è riunito un pezzo di gabinetto: a Palazzo Chigi si è parlato di Egitto nel vertice tra Conte e i ministri degli Esteri Di Maio, degli Interni Lamorgese e della Difesa Guerini.

A darne conto è stato, con una diretta Facebook, Di Maio: «Il nostro obiettivo è impegnare le istituzioni europee per Regeni, perché stiamo parlando di diritti umani». Nello specifico, l’Italia intende chiedere agli Stati membri della Ue «di prendere posizione» e alle istituzioni internazionali di riconoscere come legittimo il processo che si aprirà nel nostro paese contro i tre membri dei servizi segreti egiziani accusati del sequestro di Giulio e di un quarto accusato di lesioni aggravate e omicidio aggravato.

La Farnesina, ha concluso Di Maio, già dalle prossime ore lancerà iniziative per sensibilizzare Bruxelles sulla questione. Perché è «opportuno che a esprimersi chiaramente su questo tema siano anche i nostri partner europei attraverso azioni mirate».

Un moto di indignazione per la passività europea forse figlio dell’accoglienza da star che il presidente francese Macron ha riservato all’egiziano al-Sisi, con tanto di consegna della Legion d’Onore e tutte le polemiche che ne sono seguite.

Al di là della simbolica mozione di condanna approvata dal parlamento Ue nel marzo 2016 a un mese dal ritrovamento del corpo del ricercatore (a cui ne sono seguite svariate), l’Europa e i singoli Stati non hanno mosso un dito, né interrotto i rapporti diplomatici e commerciali con l’Egitto.

È vero. Come è vero, però, che l’Italia ha fatto altrettanto, segnando ogni anno un nuovo record nella vendita di armi al regime egiziano. Timore di isolamento, di venir sostituita nel quadrante mediterraneo, semplice attaccamento agli affari: le motivazioni sono tante, ma non giustificano la legittimazione di uno dei regimi più brutali del secolo.

Un esempio: ieri si è svolto il primo incontro in videoconferenza dei membri del neonato East Mediterranean Gas Forum (Egitto, Italia, Israele, Grecia, Cipro, Giordania e Autorità nazionale palestinese), ente nato per la gestione delle ricchezze sottomarine naturali.

Oggi è previsto il voto della risoluzione presentata da S&D, Renew, Verdi e GUE sulla situazione dei diritti umani in Egitto e si dice che all’europarlamento sarà una sessione movimentata. Chi prova a fare un passo in più è anche la Commissione d’inchiesta parlamentare, presieduta da Erasmo Palazzotto, che ha in previsione una missione a Cambridge per sentire la tutor di Giulio, Maha Abdel Rahman.

E c’è chi resta fermo al palo: secondo Committee to Protect Journalists, l’Egitto si aggiudica di nuovo il terzo posto per numero di giornalisti dietro le sbarre dopo Cina e Turchia. Sono 27, con un record di arresti legati alla copertura (non gradita al regime) della pandemia.