Il ranking di World Rugby, l’ex International Board, colloca la nazionale di Figi al nono posto: sopra l’Argentina e appena sotto la Francia. Sebbene questa classifica stagionale sia soltanto un’istantanea destinata a modificarsi dopo i test match autunnali, essa va tuttavia presa con serietà perché è un marcatore degli attuali valori delle squadre. L’Italia è più in basso, al quattordicesimo posto, sotto Giappone, Georgia e Tonga, e ancora più sotto ci sono Romania e Samoa. Nei primi sedici posti, una specie di A1 e A2, c’è il rugby di qualità, il “core business” di una disciplina sportiva che macina profitti e definisce la spartizione degli utili. Può non piacere ma nell’era del professionismo le cose stanno in questo modo. Scendendo nella classifica c’è il mondo del semi-professionismo: campionati nazionali che esprimono buoni talenti destinati a emigrare altrove e per chi resta c’è una dimensione dilettantistica dove vige il rimborso spese.

E’ tra questi due mondi, quello del professionismo puro e quello semi-professionistico, che oggi si colloca l’Italia. Nonostante diciotto anni di Sei Nazioni, le competizioni europee per club e l’esperienza mai del tutto decollata delle franchigie (Treviso e Zebre), il rugby italiano continua ad arrancare lungo il crinale che divide il paradiso ovale dal purgatorio. C’è stato qualche lampo di luce che ha rischiarato le tenebre e ha fatto gonfiare d’orgoglio il petto dei molti tifosi della nazionale ma nell’insieme il cammino è sempre stato tribolato, come testimoniano i 12 cucchiai di legno collezionati in meno di un ventennio e un via vai di allenatori giunti nella penisola pieni di buone intenzioni e poi congedatisi con espressioni di amara rassegnazione.

Il trittico di autunno propone agli azzurri tre match difficili quanto interessanti. Si comincia domani a Catania con le Figi (15.00, diretta Dmax sul canale 52 del digitale terrestre), poi c’è l’Argentina sabato prossimo a Firenze, chiusura contro il Sudafrica il 25 novembre a Padova. Tre squadre molto diverse nell’impianto di gioco e dunque tre test importanti per verificare se il lavoro di Conor O’Shea sta dando i risultati sperati. E’ passato un anno e mezzo dall’arrivo dell’irlandese sulla panchina degli azzurri. Un primo tour estivo (giugno 2016) nelle Americhe si è concluso con due vittorie (Canada e Stati Uniti) e una sconfitta di misura con i Pumas.

Il successivo trittico autunnale ha visto l’exploit di Firenze – prima storica vittoria contro gli Springboks – la batosta con gli All Blacks e la delusione con Tonga che mai era riuscita a vincere in terra italiana. Il Sei Nazioni 2017 è stato un supplizio: cinque sconfitte. A giugno altro tour nell’emisfero Sud e tre sconfitte con Scozia, Figi e Australia ma anche qualche segno di risveglio e la conferma di alcuni buoni innesti nella squadra.

Se nel progetto di lavoro di Conor O’Shea c’era innanzitutto un rinnovamento della rosa dei giocatori e un miglior rapporto con le franchigie, bisogna riconoscere che il cammino fin qui percorso lo ha visto seguire con coerenza queste linee guida. Ora devono però arrivare i risultati, pena lo scivolamento del rugby italiano in un clima di depressione dal quale rischia di non risollevarsi. Le tre sfide di novembre sono tutte difficili e almeno una (il Sudafrica, che dall’autunno scorso è migliorato assai) impossibile, ma figiani e argentini sono in qualche modo alla portata degli azzurri. Vedremo.

Dunque Catania e le Figi. C’è stato un tempo in cui i giocatori figiani in tour venivano regolarmente maltrattati dagli avversari. Pativano il freddo dell’autunno europeo (a Monza, nel 2005, trovarono persino la neve) e ben poco riuscivano a esprimere del loro gioco estroso. Altra cosa è stata quando l’Italia andava a sfidarli nel Pacifico: lì non c’era storia. Da allora buona parte dei campioni figiani si è accasata nei club europei, prendendo confidenza tanto con il clima quanto con il gioco dell’emisfero Nord.

La squadra che oggi sfida gli azzurri allo stadio Massimino (ex Cibali) è dunque composta da cavalieri di ventura che si sono fatti le ossa nei campionati francesi e nella Premiership inglese: del XV che vedremo in campo uno solo, il mediano di mischia Frank Lomani, milita in un club figiano, mentre l’altro “down under” è l’apertura Ben Volavola in forza ai neozelandesi di North Harbour. Le stelle della squadra sono il capitano e terza linea Akapusi Qera, il seconda Leone Nakarawa, l’ala di Tolone Josua Tuisova. Con Figi, che nel rugby a setet è campione olimpica, bisogna giocare con ordine e attenzione: se la difesa azzurra perdesse le distanze tra le linee sarebbero guai.

O’Shea manda in campo una formazione inedita. Dei vecchi senatori azzurri dalle ottanta e oltre presenze c’è solo il capitano Sergio Parisse (126 caps), per ora insostituibile, mentre Edoardo Gori e Leonardo Ghiraldini si accomodano in panchina. In mediana conferma per la coppia Carlo Canna-Marcello Violi. All’estrema c’è l’esordio del neozelandese naturalizzato Jayden Hayward. La linea verde è confermata dalle presenze nei trequarti di Tommaso Boni (5 caps), Tommaso Castello (2), Mattia Bellini (5). Tra gli avanti ci sono il seconda linea Dean Budd (3 caps), il pilone Simone Ferrari (5) e il tallonatore Luca Bigi (3). Ben tre gli esordienti in panchina: il terza linea siciliano Giovanni Licata, l’estremo Matteo Minozzi e l’irlandese naturalizzato Ian McKinley, ex apertura di Leinster che a soli 21 anni perse la vista da un occhio durante un incidente di gioco e che si è rilanciato in Italia con la maglia di Treviso.

Auguri anche per lui. Giocano: Hayward; Sarto, Boni, Castello, Bellini; Canna, Violi; Parisse, Steyn, Minto; Budd, Fuser; Ferrari, Bigi, Lovotti.
Tra i big match della giornata Inghilterra-Argentina, Irlanda-Sudafrica, Galles-Australia e Francia-Nuova Zelanda.