Dimenticate i cucchiai di legno, i sette anni trascorsi dall’ultima vittoria, la sequenza ormai infinita di sconfitte. Cancellate quel senso di smarrimento che coglie chi si accorge di essere capitato nel posto sbagliato con la compagnia sbagliata. E non coltivate illusioni: le probabilità che anche stavolta l’Italia concluda il Sei Nazioni di rugby con zero punti in classifica e il cucchiaio di legno in bacheca sono infinitamente superiori a quelle di conquistare almeno una vittoria. State tranquilli, insomma, e godetevi lo spettacolo. Nel rugby i miracoli sono merce rarissima e quasi mai frutto del caso. Le dodici vittorie (e un pareggio, nel 2006 a Cardiff) della nazionale italiana in ventidue edizioni disputate sono praticamente tutte collocate nei primi tre lustri, tra il 2000 e il 2015, quando la squadra poteva fare affidamento su un nucleo di giocatori forti e esperti quanto bastava per fare del quindici azzurro un osso duro per qualsivoglia avversario, soprattutto nel pacchetto di mischia. Nota a margine: le due vittorie in una sola edizione (2007 e 2013) sono giunte con due francesi alla guida della squadra: Pierre Berbizier e Jacques Brunel.

POI E’ STATAdiscesa, sempre più ripida. O, per meglio dire, gli altri, i big five, sono andati avanti, progredendo anno dopo anno, misurandosi con un livello sempre più alto: dopo tutto, il motto olimpico è pur sempre “Citus, fortius, altius”, ma in Italia ce ne siamo dimenticati e siamo rimasti fermi al palo. L’autunno passato ha presentato qualche sostanziosa novità sulla scena del grande rugby internazionale. Gli All Blacks sono venuti in Europa e hanno rimediato ben due sconfitte (Francia e Irlanda). Il Sudafrica, campione del mondo in carica, è uscito sconfitto dalla sfida con l’Inghilterra. L’Australia, in piena crisi, è stata battuta da Inghilterra, Galles e Scozia. Per la prima volta il bilancio novembrino pende decisamente a favore dell’emisfero Nord. Forse il rapporto tra i due emisferi, quello australe e quello boreale, si è rovesciato. Il Sei Nazioni 2022 si annuncia dunque come un torneo ad altissimo tasso tecnico e atletico. In una formula ormai (e purtroppo) collaudata, quella del 5 + 1, ovvero cinque squadroni e una sesta molto più debole, che siamo noi. Ognuna delle cinque big five corre per la vittoria finale ma tre di esse – Francia, Irlanda e Inghilterra, nell’ordine – con qualche chance in più. Il Galles, campione uscente ma con l’infermeria affollata, e la Scozia stanno un gradino più sotto. Si parte con la sfida in salsa gaelica di Dublino. Irlanda-Galles (Skysport Arena, 15:15) è un match che si annuncia succulento, seppure i padroni di casa siano favoriti. A penalizzare i gallesi è innanzitutto la lista degli infortunati: manca l’intera terza linea titolare (Navidi, Tipuric e Faletau) e marcano visita anche trequarti di peso ed esperienza come North e Halfpenny. Fuori anche l’ormai leggendario capitano, Alun Wyn Jones, 36 anni, 149 presenze con i dragoni e un posto ormai assicurato nel miglior quindici gallese di tutti i tempi. L’Irlanda può invece schierare la sua formazione migliore (con la sola eccezione dell’infortunato Chris Lowe) e deve assolutamente incominciare bene per poter puntare alla vittoria nel torneo. Il test decisivo sarà però quello di sabato prossimo, a Parigi, contro i francesi.

A SEGUIRE (Skysport Arena, 17:45) c’è la Calcutta Cup, con la sfida rovente Scozia-Inghilterra. L’anno scorso gli scozzesi andarono a vincere al Twickenham con un punteggio d’altri tempi (11 a 6) e una esaltante prestazione di squadra, e oggi, ingolositi, vorrebbero il bis, impresa che non gli riesce dal lontano 1984. Murrayfield sarà teatro di uno scontro epico? Lo vedremo al momento degli inni, quando il suono delle cornamuse si tacerà e il pubblico intonerà “Flower of Scotland”. Greg Townsend può contare sui suoi giocatori migliori, dal capitano Stuart Hogg alle due ali, Graham e Van der Merwe, e una terza linea di sicuro affidamento. C’è grazia e talento, nel rugby scozzese, ma altrettanta discontinuità. L’Inghilterra deve rinunciare al suo regista, Owen Farrell (salterà tutto il torneo), e propone al suo posto il giovane Marcus Smith, 23 anni da compiere e solo cinque presenze con la maglia del XV della Rosa. L’anno scorso per i bianchi fu un torneo disastroso: penultimi in classifica, sconfitta con tutte e tre le home unions rivali. La stampa britannica ha già messo nel mirino coach Eddie Jones: per lui il Sei Nazioni 2022 è l’ultima prova d’appello. L’Italia gioca domenica (Skysport 1 e Tv8, 16:00). A Parigi, contro la squadra che molti danno per favorita alla vittoria finale: giovane, rampante, la Francia pare tornata ai fasti del rugby champagne. Non vince il torneo dal 2010, un tempo interminabile. Possibilità che gli azzurri espugnino lo Stade de France? Lasciamo parlare i bookmakers: la vittoria dei coqs è pagata 1,01, quella degli azzurri 25. E questo è. La questione è nota. L’Italia va in campo, cerca di fare esperienza e di dare il meglio di sé, prova a resistere per tutti e ottanta i minuti di gara anziché crollare dopo la prima frazione di gioco, cerca di capire quale sia il livello, quali le difficoltà, gli errori da evitare, l’impegno da profondere. Certo, l’asticella è altissima. 

Kieran Crowley lancia due esordienti: un ventottenne neozelandese di Gisborne in forza a Treviso, Toa Halafihi, schierato terza centro, e il diciannovenne Tommaso Menoncello, trequarti ala, 1,86 per 90 chili, un pischello che si è fatto molto apprezzare nell’Under 18. Avrà un battesimo del fuoco di quelli che si ricordano per il resto della vita. Ecco, i giovani: stanno andando molto bene, sia nell’Under 18 che nell’Under 20. Giocano e vincono spesso contro i loro pari età. Il problema è quando devono fare il salto di categoria: in quel momento vedono i coetanei d’oltre frontiera decollare e loro restano indietro. Uno dei problemi del rugby italiani è questo: i club, il livello del nostro campionato, gli staff tecnici. E’ lì che bisogna lavorare. Può esistere un rugby di élite senza un campionato all’altezza di quelle aspettative? La risposta è fin troppo scontata.

Francia: Jaminet; Penaud, Fickou, Danty, Villiere; Ntamack, Dupont; Aldritt, Cretin, Jelonch; Willemse, Woki; Atonio, Marchand, Baille.

Italia: Padovani; Menoncello, Brex, Zanon, Ioane; Garbisi, Varney; Halafihi, Lamaro, Negri; Ruzza, Cannone; Pasquali, Lucchesi, Fischetti.