Erdogan con l’Europa ormai è uno e trino. Continua a tenere sotto pressione l’Unione europea sulla rotta dei profughi nell’Egeo, a farsi finanziare gli oltre tre milioni di rifugiati che si tiene in casa e allo stesso tempo gioca la sua partita diplomatico-militare facendo leva sugli interessi strategici diversi o confliggenti degli stati del continente. Quindi litiga di nuovo con Macron insultandolo – «la Francia se ne deve sbarazzare», ha detto dopo la preghiera del venerdì a Santa Sofia -, ordina, per la prima volta, manovre militari congiunte dell’aviazione con la Gran Bretagna e tutto questo mentre l’Italia firmava ieri un accordo militare con il governo della Tripolitania, diventata di fatto una sorta di protettorato turco viste le intese stringenti con Al Sarraj nel campo della sicurezza e della politica mediterranea.

Non dimentichiamo – in una prospettiva storica che per Ankara è sempre di attualità – che fu l’Italia nel 1911 a strappare la Libia agli ottomani e poi nel 1912 anche il Dodecaneso. La Turchia, tenuta sotto pressione per la verità assai blandamente dagli Usa, non ha mai riconosciuto le convenzioni internazionali sui confini marittimi dell’Egeo e vuole costruire la sua «Patria Blu» fino alla Libia che un tempo faceva parte dell’impero. L’impressione è che l’isolamento della Turchia, Paese chiave della Nato, sia più nella testa di alcuni politici e osservatori europei che nella realtà.

Se è vero che Erdogan affronta l’ostilità di Parigi ed è sotto osservazione di Bruxelles per la questione delle frontiere marittime e dello sfruttamento del gas offshore nelle «zone esclusive» di Grecia e Cipro, ci sono perplessità tra Paesi europei – tra questi emergono Germania e Italia – che si debba sanzionare Ankara per le sue violazioni. Soprattutto i tedeschi che diffidano dei soliti ricatti turchi sulla rotta balcanica dei profughi. In realtà tutti temono che Erdogan sfrutti nuovi spazi di manovra per accordarsi con la Russia di Putin con cui ha in ballo contenziosi brucianti in Siria, Libia e la questione del Nagorno Karabakh tra Armenia e Azerbaijan, altro alleato del reiss turco che ha appoggiato contro gli armeni con squadriglie di droni, come aveva già fatto in Libia contro il generale Haftar.

Così anche l’Italia, che tratta con la Turchia fidandosi ben poco dei francesi che insieme a inglesi e americani gli hanno strappato la Libia di Gheddafi nel 2011, si prepara a convivere a Tripoli con Erdogan. Nell’intesa raggiunta ieri con la visita a Roma del ministro della difesa di Tripoli Salaj Eddine al Namrush (che oltre al suo omologo Guerini ha incontrato il ministro degli esteri Di Maio) si riattiva un accordo del 2013 che comprende la cooperazione in campo sanitario – già c’è l’ospedale da campo di Misurata con 300 soldati – l’intesa sulla formazione in Italia e in Libia di ufficiali e sottufficiali, compreso l’addestramento di guardia costiera e marina militare, e l’attività di sminamento.

In poche parole ci sarà una sorta di cooperazione per rimettere in piedi le forze armate della Libia in collaborazione con la Turchia di Erdogan che con l’intervento militare a fianco di Sarraj ha salvato Tripoli dall’offensiva del generale della Cireanaica Haftar sostenuto da Russia, Emirati arabi uniti, Egitto e dalla stessa Francia, che con Ankara ha ormai molti conti in sospeso da regolare. Nell’ex colonia italiana, nel Mediterraneo orientale e sulla politica di Macron verso l’islam che Erdogan ha fustigato, sfruttando in maniera propagandistica la decapitazione di un professore francese che a scuola aveva mostrato le vignette su Maometto di Charlie Hebdo. L’accordo dell’Italia con Tripoli è importante, essendo l’unica nazione europea ad avere un’ambasciata funzionante mentre l’Eni non ha mai lasciato il Paese, fornisce elettricità a tutta la Libia e mantiene in funzione i campi petroliferi e il gasdotto Greenstream collegato alla Sicilia. Quindi Roma ora fa valere le sue carte anche nella prospettiva dei complicati negoziati in corso tra le parti libiche e i loro sponsor internazionali.

Ma non scordiamo che in Tripolitania i rapporti di forza pendono dalla parte di Ankara: un mese fa i militari turchi sono stati fotografati sulle motovedette libiche donate dall’Italia. È sorto nel Mediterraneo una specie di «SultaNato» di Erdogan, entità che si allunga dalle coste turche a quelle del Nordafrica e che fonde le aspirazioni neo-ottomane di Ankara con un nuovo ordine gerarchico dell’Alleanza nelle acque del Mediterraneo. Il “reiss” ha pure il controllo sui flussi migratori.
Di migranti nell’accordo con la Libia non se ne parla: il «lavoro sporco» ricade adesso sotto la supervisione del Sultano, principale contractor di un appalto oscuro sulle disgrazie di esseri umani senza tutela.