Dieci giorni per l’atto finale di una sceneggiatura incerottata. E se ne invece saranno tre o addirittura quattro settimane, insomma se l’Italia vincesse gli Europei o arrivasse nei dintorni del podio, la sostanza non cambierebbe. Il biennio del calcio italiano che ha accompagnato la Nazionale di Antonio Conte in Francia non ha prodotto un cambio di marcia. Anzi, c’è la sensazione che il movimento abbia compiuto passi indietro, invece di ripartire. Dalla sciagurata missione brasiliana con Cesare Prandelli al comando, nessuna delle promesse di rilancio del sistema Italia è stata mantenuta. E la questione tecnica, il valore della rosa che il commissario tecnico porta con sé Oltralpe è solo uno dei punti sul tavolo. In Francia si parte almeno in terza fila, senza fuoriclasse (gli unici due, Buffon e De Rossi assieme fanno 71 anni), con un gruppo di buoni calciatori, tante motivazioni, qualche assenza pesante (Marchisio e Verratti) che complica l’assunto. E senza alcuna aspettativa per tifosi, addetti ai lavori, forse la condizione ideale per Conte per segnare punti a suo favore. Il tecnico azzurro ha vissuto una situazione simile nel suo primo anno alla Juventus, con i bianconeri reduci da due anni al settimo posto in A.

E sappiamo come è andata a finire. Conte in un mese può anche creare una piccola macchina da guerra, intensità, schemi e ferocia agonistica, il suo menu ideologico per cancellare il gap tecnico con le avversarie. E se il successo pare chimera e così anche l’arrivo tra le prime quattro, nulla è già precluso, se la difesa juventina reggerà i colpi, se in mezzo al campo De Rossi sarà in salute e soprattutto se verrà fuori l’attaccante da quattro-cinque gol nella competizione, indispensabile per andare avanti nel torneo. Magari Graziano Pellè, modesto ma con buona media gol in azzurro, oppure Lorenzo Insigne, non amato dal ct ma l’unico che respira calcio ad alti livelli tra i 23 di Conte. Difficile. Ora ha ragione il ct, sognare è lecito ed è il momento di sostenere la Nazionale. Poi, con pallone in stand by in attesa dei Giochi di Rio, sarà di nuovo il caso di riflettere non solo su Conte che ha comunicato l’addio all’Italia mesi prima della competizione francese, annunciando il triennale con il Chelsea, spiazzando la federazione ma soprattutto sul peso specifico, la preparazione dei dirigenti che guidano il calcio italiano. Partendo da Carlo Tavecchio, il vecchio che avanzava ed avanza ancora.

Il presidente Figc aveva provato a nascondere gli esordi imbarazzanti puntando tutto su Conte, decidendo anche di accettare che una multinazionale degli articoli sportivi coprisse buona parte dello stipendio a varie cifre dell’ex allenatore della Juventus. Che a sua volta sarebbe stato figura barometro della riscossa, il garante della Nazionale sudore e sacrificio che sarebbe uscita dalle grinfie dei club che per consuetudine mettono l’Azzurro all’ultimo posto delle gerarchie degli atleti. Per un nuovo corso, sinergia tra società e staff tecnico azzurro, una maggiore disponibilità per rimettere la Nazionale al centro di tutto, come avvenuto in Germania. I tedeschi in circa dieci anni, tra centri tecnici federali nei vari Lander e una federazione che sovvenziona i club, valorizzando il lavoro dei settori giovanili, hanno vinto un Mondiale (Brasile 2014), arrivano in fondo a tutte le competizioni con un gruppo di calciatori multietnico, motivato, con atleti che giocano al massimo. Per Conte invece, strada in salita, nessuna finestra concessa dai club per stage durante la pausa delle Nazionali, quattro mesi tra autunno e primavera. Mani legate, il silenzio della federazione, la voglia di allenare tutti i giorni.

I suoi rapporti con la Juventus sulla gestione dei convocati sono divenuti subito tesi (tecnico e società si erano lasciati male due anni fa) con Chiellini richiamato a Torino per curare un infortunio prima di una partita delle eliminatorie per gli Europei ma anche con il Napoli che avrebbe sollecitato il ritorno a casa di Insigne infortunato prima di un’amichevole. Insomma, l’intesa con i club non c’è mai stata. E la difficoltà a incidere sul rinnovamento della Nazionale e del sistema calcio avrebbe portato Conte al Chelsea, in Premier League, di nuovo sul campo ogni giorno. Una scelta legittima ma resa pubblica con tempi tragici. Una partita persa per Tavecchio, non la prima, non l’ultima. L’unico suo successo, gli va dato atto, è l’applicazione della tecnologia al pallone, il dispositivo elettronico che denuncia il gol/non gol sulla linea di porta.

Un passaggio importante, in attesa di ulteriori passi in avanti, della moviola in campo, dell’instant replay che viene utilizzato con successo in altre discipline. L’avevano capito anche alla Fifa, non esattamente il regno del candore, che Tavecchio non era l’uomo del rilancio. E lo stesso numero uno della Figc, soprattutto all’inizio della corsa verso la presidenza e anche dopo aver conquistato lo scranno del potere aveva fatto di tutto per segnalarsi come inadatto, non al posto giusto. A Europei conclusi, la Nazionale ripartirà da Giampiero Ventura, con Marcello Lippi direttore dell’area tecnica e qualche pezzo grosso dei Mondiali vinti dieci anni fa in Germania per dare una mano di vernice al passato. Ma serve davvero investire risorse e una nuova politica con i club per veder l’Italia ripartire. Anche se Conte dovesse vincere gli Europei francesi.