Lo stratagemma: non contendere le ruck agli inglesi per non creare la linea del fuorigioco. Prenderli di sorpresa. Con il pallone a terra, anziché spingere, i giocatori azzurri lasciavano la mischia aperta e andavano a infilarsi tra le file avversarie, ostruendo le linee del passaggio. Era un trucco, un inedito, una mossa imprevedibile, e tuttavia coerente con il regolamento. Gli inglesi non si raccapezzavano. Ligi alle consuetudini, agli schemi mandati a memoria, ai piani di gioco studiati a tavolino, gli uomini in bianco non sapevano proprio come venirne fuori: a loro quell’espediente tattico pareva un’inaccettabile anomalia, di più, un dirty trick, roba che sapeva di imbroglio.

Dopo mezz’ora il XV della Rosa era appena sul 5 a 0 e soltanto per una meta (Dan Cole) ottenuta con una maul avanzante successiva a una touche. Gli inglesi avevano immaginato di travolgere da subito gli azzurri recitando il loro consueto copione e invece vagolavano in uno stato confusionale che poco per volta mutava in nervosismo.

Si guardavano tra loro, chiedendosi che fare. Poi mandavano il capitano, Dylan Hartley, a chiedere lumi all’arbitro, il francese Romain Poite. La risposta del direttore di gara era semplicemente soave: “I’m sorry, Dylan: I’m a referee, I’m not a coach”. Sono un arbitro, non un allenatore, è a lui che ti devi rivolgere. Su in tribuna, nello spazio riservato allo staff tecnico azzurro, Conor O’Shea e lo stratega Brendan Venter gongolavano. Poco più in là Eddie Jones, il coach degli inglesi, schiumava rabbia mentre aspettava il riposo per dare le contromosse ai suoi giocatori.

Il Twickenham prima ammutoliva, poi mugugnava e protestava. Era regolamentare, la posizione dei giocatori azzurri sulle mischie aperte con il pallone a terra? Lo era, ma il pubblico inglese non aveva mai visto una cosa simile.

Maledetti latini.

Arrivava un drop di Tommaso Allan ed era 5-3. Complice il nervosismo inglese, che produceva falli ed errori, gli azzurri si erano stabilmente installati nella metà campo avversaria ma sprecavano più del dovuto. Per loro fortuna Owen Farrell, il cecchino inglese, sbagliava un calcio dopo l’altro (alla fine la sua media dalla piazzola sarebbe stata fallimentare: 3 su 7) ed era tanto indispettito da rischiare un giallo con un’entrata di spalla su Gori. Il match aveva preso una piega imprevedibile e a un minuto dall’intervallo arrivava la meta dell’Italia. Allan spediva sul palo una facile punizione ma era Giovanbattista Venditti il più pronto sul rimbalzo e schiacciava l’ovale.

Con la trasformazione gli azzurri andavano al riposo avanti 10-5. Nessuno se lo aspettava. L’Inghilterra era la gran favorita, imbattuta da più di un anno, campione in carica con tanto di grande slam. Una squadra piena di talenti e di fuoriclasse, una vera macchina da rugby declinato alla perfezione in tutte le sue fasi, eppure sembrava essersi inceppata di fronte a una variabile tattica imprevedibile come quella escogitata dagli strateghi azzurri.

Era davvero il caso di sperare in un successo italiano nella “fortezza” del rugby inglese? Francamente no.

Per quanto preso di sorpresa nei primi quaranta minuti, era immaginabile che, una volta nello spogliatoio, Eddie Jones avrebbe istruito a dovere i suoi giocatori e che sarebbero giunte le necessarie contromisure. D’altra parte gli azzurri avevano concretizzato meno del dovuto perché Tommaso Allan aveva dimostrato la sua inconsistenza nei calci tra i pali (tre errori su tre nei piazzati).

Si ricominciava e l’Inghilterra spingeva sull’acceleratore. Arrivavano subito due mete con Dany Care (43’) lesto ad approfittare di una distrazione della nostra difesa e con Elliot Daly (46’). I bianchi erano ora avanti per 17-10 e sembravano lanciati ma Bronzini salvava su Nowell evitando la quarta meta.

Al 60’ arrivava la seconda meta azzurra con Michele Campagnaro che riceveva il pallone, travolgeva prima Ford e poi scherzava Brown con un perfetto doppio passo andando a schiacciare oltre la linea. Padovani non trasformava  e il punteggio era 17-15. Era l’ultimo sprazzo di luce degli ormai stanchi azzurri, mentre gli inglesi ricominciavano a macinare gioco segnando ancora tre mete con Jack Nowell (69’ e 79’) e Ben Te’o (72’).

Si chiudeva con il punteggio di 36 a 15. L’Inghilterra incamerava anche il punto di bonus ma la sua non era la cavalcata trionfale che molti si attendevano.

L’Italia – terza sconfitta su tre partite – evidenziava miglioramenti e carattere ma ancora troppe incertezze, soprattutto in cabina di regia (male la coppia Allan-Gori). Per quanto geniale uno stratagemma tattico non può da solo risolvere un match se mancano le indispensabili qualità tecniche.

Tra due settimane sarà la Francia a scendere all’Olimpico di Roma, poi si chiuderà a Edimburgo contro la ritrovata Scozia.

La classifica dopo la terza giornata è la seguente: Inghilterra 13; Irlanda 10; Scozia 9; Francia e Galles 5; Italia 0.