Nei prossimi mesi arriveranno dall’Afghanistan, via Iran e Pakistan, 1.200 persone. L’apertura di un nuovo corridoio umanitario è stata annunciata ieri dalla vice-ministra degli Esteri Marina Sereni (Pd) durante il festival Sabir, organizzato da Arci in collaborazione con Caritas, Acli e Cgil nella città di Lecce. Il protocollo verrà firmato la prossima settimana e coinvolgerà, oltre al ministero, diverse realtà istituzionali e della società civile: Unhcr, Arci, Caritas, Sant’Egidio e Tavola Valdese. Ne beneficeranno persone in particolare condizione di vulnerabilità o famiglie che avevano il nulla osta per ricongiungimento. 

«Non è una misura risolutiva, considerando che il bisogno stimato riguarda 3,5 milioni di persone, ma quest’azione umanitaria ha un forte valore simbolico e speriamo sia replicata in altri paesi europei», ha detto Oliviero Forti di Caritas Italia. Leila Bodeaux, della struttura europea della stessa organizzazione, ha spiegato che l’Alto commissariato per i rifugiati ha chiesto di ricollocare 40mila afghani nei prossimi anni. Ma siccome le procedure sono molto lunghe ha invitato i diversi paesi ad aprire altri canali di migrazione legale.

La discussione ospitata dal festival Sabir ha dato diverse risposte alla domanda: a che punto è la notte due mesi dopo la presa talebana di Kabul? La priorità per la comunità internazionale è evitare il collasso del paese. Che significa garantire aiuti e infrastrutture senza passare dai Talebani. «Dobbiamo fare in modo che le scuole, gli ospedali e gli altri servizi essenziali rimangano in funzione, per esempio pagando stipendi ma senza il tramite del governo ad interim», ha detto Sereni. Intanto l’inverno è alle porte e siccità e carestia stanno già colpendo la popolazione. «È urgente portare gli aiuti umanitari prima dell’arrivo del freddo. Li stiamo predisponendo in Qatar e Turkmenistan. I Talebani hanno chiesto la permanenza delle agenzie Onu e garantito il lavoro delle nostre colleghe donne», dice Chiara Cardoletti di Unhcr.

Altro grande tema che rimane sul piatto è ciò che accade a chi riesce a uscire dal paese. Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci, ha criticato i principi che ispirano l’azione dei paesi europei dal Consiglio del 31 agosto. «Fanno accordi per scongiurare le partenze dei rifugiati e finanziano i paesi di transito per trattenerli – ha detto Miraglia – Se ci sono 12 stati membri che hanno chiesto finanziamenti per costruire muri è anche perché gli altri 15 non hanno realizzato politiche di accoglienza all’altezza della sfida». 

Nella fase di evacuazione l’Italia ha trasferito dall’Afghanistan circa 5mila profughi. Tra loro c’era anche la giornalista Rahel Saya che, intervenendo nel dibattito, ha espresso rammarico per la situazione politica: «Noi donne abbiamo lavorato duro per garantire un futuro migliore e cambiare il paese. Ma dall’arrivo dei Talebani chi non è scappata ha paura anche a uscire di casa».