Trasformazione del Senato, legge elettorale, jobs act, articolo 18, riforma della scuola: è un unico campo di battaglia su cui si stanno disegnando le sorti future del nostro Paese. Il Governo intende chiedere la fiducia sulla riforma del lavoro per presentarsi in Europa più realista del re. Per mostrare in Europa che l’Italia è capace di liquidare diritti fondamentali con un colpo di spugna, in nome dell’ideologia neoliberista imposta dalla Troika e perfettamente introiettata da questo esecutivo. Non è possibile che ci sia ancora chi non veda, nel quadro complessivo di queste manovre, il rischio gravissimo di una perdita di libertà e democrazia tout court per l’Italia.

Fino a che punto questo premier, questo esecutivo e questo Presidente della Repubblica potranno forzare il limite delle procedure istituzionali in nome di una governabilità che tiene in vita una maggioranza politicamente illegittima che a breve, se non ci opponiamo in Parlamento e nelle piazze, «asfalterà» tutte le garanzie costituzionali? Fino a che punto potranno patteggiare le conquiste democratiche dei lavoratori e dei cittadini con il margine di flessibilità chiesto a Bruxelles?
Il mondo della scuola, vilipesa e ferita da tagli insostenibili e sottoposta al costante ricatto della privatizzazione, sta alzando la schiena.

Perché a scuola vige ancora la libertà di insegnamento, di apprendimento, di pensiero critico e di parola. Ed è nelle aule delle scuole che docenti e studenti, insieme, stanno ricomponendo tutti i tasselli del disegno reazionario con cui si prefigura il nuovo modello di società imposto dal capitalismo globale, fatto proprio dall’Unione europea – che non è l’Europa dei padri fondatori – e da questo Governo. Una società piramidale, fortemente gerarchizzata e privata dei diritti fondamentali, dominata dal mercato e dall’ideologia del profitto. Una società neofeudale. Il piano scuola, presentato da Matteo Renzi in un video televisivo come nella migliore tradizione berlusconiana e sottoposto a una finta consultazione telematica controllata dal Ministero (un megaquiz invalsi per tutti gli italiani), che trasforma la scuola in azienda, che destruttura il contratto collettivo nazionale e rende i docenti dipendenti del preside-manager, a chiamata diretta, non è semplicemente una proposta da criticare argomentando. Rappresenta una provocazione inaccettabile. E mentre alcuni sindacati collaterali cincischiano di possibili emendamenti, il mondo della scuola lo respinge al mittente, denunciando il demagogico, enfatico richiamo all’ascolto come pura finzione.

Se ci fosse davvero ascolto, se ci fosse interesse autentico, Renzi e il suo esecutivo saprebbero che una riforma della scuola aderente ai principi costituzionali c’è già, dal 2006, ed è la legge di iniziativa popolare “Per una buona scuola per la Repubblica”. Frutto di un vero impegno condiviso, elaborata dal basso, da chi nella scuola ci vive, sottoscritta da 100.000 elettori certificati, il ddl n. 1583 al Senato e n. 2630 alla Camera è pronto per il suo iter parlamentare, l’unico legittimo. Essa impegna l’investimento costante del 6% del PIL nell’istruzione pubblica; ridisegna l’offerta formativa statale ai sensi degli artt. 33 e 34 della Costituzione, proponendo un biennio unitario e un triennio d’indirizzo, anticipando l’obbligo scolastico al terzo anno della scuola dell’infanzia fino ai 18 anni; indica puntuali forme di sostegno per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, con bisogni speciali e per i migranti.

Impone un piano straordinario reale per l’edilizia scolastica e ripropone il tempo pieno e le compresenze, testimoniando una profonda attenzione per la dimensione pedagogica della scuola, che trova nella costante attività degli organi collegiali di riflessione e valutazione dei processi formativi, forme efficaci e condivise di autocontrollo del suo operato e di rendicontazione sociale. La riforma della scuola declinata da Renzi si muove in una direzione diametralmente opposta: getta la scuola statale in pasto al mercato, trasformando i dirigenti in procacciatori di fondi e cacciatori di teste; mette le scuole in competizione tra loro, come nella peggiore tradizione americana e anglosassone; deforma la funzione docente in una grottesca selezione darwiniana per generare «i più adatti», quei «buoni» docenti che produrranno «buoni» cittadini: inconsapevoli, manipolabili, ricattabili, privati della capacità di capire e della possibilità di scegliere. La posta in gioco è, dunque, altissima: in questo grave momento di emergenza democratica, la scuola fa l’appello. A tutte le forze intellettuali del nostro Paese – cittadini, movimenti, associazioni, maggioranze e minoranze dei sindacati e dei partiti – che si uniscano in un fronte comune e si facciano promotori e baluardo, attraverso l’adesione alla nostra proposta di legge per la scuola della Repubblica e la costruzione di un fronte di difesa dei diritti irrinunciabili, della lotta per la Costituzione e la democrazia nel nostro Paese.

Associazione «Per la scuola della Repubblica»