«Il fenomeno dell’educazione parentale è ancora minoritario, ma pare destinato a crescere», sostiene Paolo Di Motoli nel suo recente Fuori dalla scuola. L’homeschooling in Italia (Studium, pp. 159, euro 16,50). La pandemia, con il suo devastante impatto sull’ordinaria frequenza degli istituti di ogni ordine e grado, è solo l’ultima in ordine di tempo fra le cause di tale tendenza, che l’autore riconduce più in generale «all’erosione della forza e della credibilità della scuola pubblica sia in senso simbolico che economico».

CAPIRE MEGLIO in cosa consista questo vero e proprio «movimento sociale» finalizzato all’affermazione dell’istruzione domestica, in cui madri e padri diventano gli insegnanti dei propri figli, è il meritorio obbiettivo che si prefigge il volume, probabilmente il primo studio organico sulla materia, condotto con rigore scientifico, apparso in italiano.

SENZA PREGIUDIZI, Di Motoli si accosta a un mondo variegato, le cui radici affondano nelle diverse tipologie di rifiuto dell’autorità dello Stato sorte negli Stati Uniti del secolo scorso: dalle utopie libertarie «de-scolarizzatrici» di sinistra plasmate dalle tesi del pedagogista John Holt (un estimatore di Ivan Illich) ai fondamentalismi settari delle destre evangeliche, opzioni politico-valoriali accomunate dal senso di estraneità alle istituzioni.
Pur in presenza di significative differenze nel costruire la relazione docente-discente fra le mura domestiche, l’idea di libertà educativa che muove tutti i fautori dello homeschooling, è sempre, in ogni caso, quella di libertà dalla scuola, sostanzialmente l’opposto del principio di libertà nella scuola – la scuola della Repubblica – affermato dalla nostra Costituzione.

NEOLIBERALI come il Von Mises Institute e ultraconservatori cristiani come la Home School Legal Defense Association contrastano il paternalismo dello stato nel nome della naturalità dei rapporti sociali familiari, spalancando le porte al paternalismo dei genitori nei confronti dei figli, dei quali si disconoscono i diritti di libertà e autonomia. Il controllo assoluto del pater familias proteggerebbe dal potere, per definizione simil-totalitario, dello stato.
Di Motoli, con il metodo della sociologia qualitativa, dà voce ad alcuni genitori che nel nostro Paese hanno optato per la non iscrizione a scuola dei propri figli, scelte in prevalenza riconducibili alle ascendenze utopistiche anarco-libertarie, con venature di naturalismo romanticheggiante. Non mancano, tuttavia, accanto a quelli che l’autore classifica come «statofobici» e «puerocentrici», anche gli «identitari», sia cattolici sia musulmani, che fuggono dalla contaminazione con la laicità e la pari dignità dei generi, senza dimenticare la preoccupazione trasversale nei confronti degli obblighi vaccinali. Seppur in taluni casi a ispirare i genitori-educatori possano essere riconosciuti anche nobili ideali, prevale nettamente la sensazione di trovarsi di fronte a un fenomeno preoccupante, sintomo di una sfiducia nell’incontro, nella relazione anche conflittuale, nell’impegno trasformativo al di là del proprio particulare.

FENOMENO al quale reagire con intelligenza, come suggerisce l’autore, e cioè senza anatemi controproducenti ma provando ad attivare un dialogo che riporti, almeno in parte, bambini e bambine «educati in casa» nell’orbita della scuola pubblica. Che non è certo perfetta, ma è un terreno di contesa e iniziativa politica aperto, che come tale va vissuto non solo da chi vi studia e lavora, ma da tutta la società. Fautori dello homeschooling compresi.