L’istruzione in Svezia è gratuita per tutti, a partire dai sei anni di età. Il sistema scolastico prevede nove anni di scuola dell’obbligo (Grundskola): dai sette ai sedici anni. Secondo la Swedish National Agency for Education, nel 2014, circa l’ 88% degli studenti ha conseguito un diploma di scuola secondaria superiore. Sul tema delle riforme del sistema educativo in Svezia e sul ruolo dello Stato, la studiosa Lisbeth Lundahl (Umeå University, Svezia) ha identificato tre momenti distinti. Un primo periodo (1975-1990), durante il quale la conservazione del principio di uno Stato relativamente forte ha tutelato la parità di istruzione nel Paese. Tra il 1991 e il 1998, invece, il governo non socialista introdusse misure radicali, con la chiara intenzione di indebolire l’influenza dello Stato in materia di istruzione, aumentare la concorrenza tra le scuole e rafforzare la scelta di genitori e alunni. Questa linea di politica, secondo Lundahl, avrebbe favorito le differenze sociali e fenomeni di segregazione. Il terzo periodo (1998-2002), sarebbe caratterizzato invece da nuovi interventi «riparatori» a cura dei social-democratici (Lisbeth Lundahl, «Sweden: decentralization, deregulation, quasi-markets – and then what?», Journal of Education Policy, 2002).

L’americana Joan Wohlner vive a Stoccolma da più di quarant’anni. Qui, nel 1992, ha fondato la scuola privata Engelska Skolan Norr, quando le riforme volute dal governo conservatore svedese introdussero la liberalizzazione e la decentralizzazione del sistema scolastico, in netta opposizione alla linea social democratica, che fino ad allora aveva promosso gli obiettivi di uguaglianza e di alta formazione per tutti gli studenti.

«Nel 1992, quando abbiamo cominciato, avevamo 380 studenti. Un anno dopo avevamo già 520 iscritti – spiega Wohlner -. Allora, la priorità veniva data agli studenti che abitavano nel quartiere più vicino. Questo ha certamente favorito forme di isolamento, ma è la condizione in cui si trova la Svezia oggi. Una delle critiche più ricorrenti alla riforma scolastica degli anni Novanta, infatti, è che ha causato un clima di segregazione. Non sono d’accordo. La segregazione in Svezia, che esiste, è un fenomeno urbano. Al contrario, la liberalizzazione e la decentralizzazione del sistema hanno dato la possibilità agli studenti dalle aree più periferiche di iscriversi nelle altre scuole. Ho iniziato a lavorare come insegnante di inglese per la Ericcson, in Telefonplan. Avevo aperto la Engelska Skolan con un’amica, che è sempre stata interessata a espandersi. Oggi è Board Chairman di 30 diverse scuole in Svezia. Questo è quello che succede quando introduci metodi capitalistici! Le scuole si sono espanse e oggi tre o quattro grandi catene hanno il controllo. Tutto questo a mio avviso si sarebbe potuto evitare, dando a ciascun proprietario il diritto di possedere solo un numero limitato di scuole. Quando decisi di lasciare l’azienda che avevo fondato, pensai di venderla, in modo da permettere alla scuola di continuare a fare quello per cui era nata. Dopo 23 anni dalla riforma scolastica, la maggior parte dei cosiddetti eldsjälar, i pionieri che in questo campo si erano imbattuti nella loro impresa per delle vere e proprie convinzioni, decisero di ritirarsi. Il migliore a cui vendere era anche il gruppo più grande, Academedia, una compagnia di istituti privati. Academedia ha acquistato molte scuole fondate da persone come me, che a un certo punto hanno deciso di ritirarsi. Io invece decisi di vendere la mia scuola a Atvexa, un gruppo molto più piccolo».

Esiste un futuro per l’educazione in Svezia? «La Svezia deve fare qualcosa presto. Hanno già cominciato a formare gli insegnanti e hanno speso dei fondi dedicati alla formazione. Cercavano 5000 docenti già in agosto, ma per accedere, bisogna studiare cinque anni. Alla fine, il guadagno è minimo, soprattutto se paragonato ad altre professioni che richiedono una formazione più semplice».