Nella storia infinita del condannato Berlusconi le polemiche già investono il futuro voto nell’aula del senato. Scrutinio segreto o palese? Cambiare il regolamento? Si incrociano accuse di tradimenti e complotti, si sospettano franchi tiratori. I veleni scorrono.

Il voto palese è la regola, quello segreto l’eccezione. Per l’art. 113, comma 3 del regolamento del senato sono a scrutinio segreto «le votazioni comunque riguardanti persone». A queste il comma 4 aggiunge – laddove il voto segreto sia richiesto dal prescritto numero di senatori – le deliberazioni che attengono agli articoli da 13 a 32, comma 2 della Costituzione (23 escluso). Il voto sulla decadenza rientra – per l’opinione che appare prevalente – tra le «votazioni comunque riguardanti persone», e richiede quindi lo scrutinio segreto. È davvero così, senza margini di dubbio?

Dobbiamo guardare a un parere della giunta per il regolamento del 6 maggio 1993, per cui il voto è palese sulle proposte della giunta delle elezioni in materia di autorizzazione a procedere in giudizio. Non si può certo negare che riguardino persone. Ma, secondo il parere, «costituiscono espressione di una prerogativa dell’organo parlamentare nell’ambito del rapporto con altri organi dello stato e dunque non rappresentano in senso proprio votazione riguardanti persone», secondo l’articolo 113, comma 3. Sono invece deliberate a voto segreto le autorizzazioni a procedere per l’arresto, la perquisizione personale e domiciliare o altra privazione o limitazione della libertà personale, attenendo agli articoli 13 e seguenti della Costituzione, di cui al comma 4 dell’articolo 113.

Il parere distingue dunque le deliberazioni che riguardano primariamente l’assemblea, «espressione di una prerogativa dell’organo parlamentare», e le deliberazioni volte a situazioni soggettive protette (gli artt. 13-32 Cost.). Per le prime il voto è palese, per le seconde è segreto. Per le prime in realtà il bene primariamente tutelato è l’istituzione, e il riferimento alla persona è solo l’occasione perché quella tutela possa dispiegarsi. Per le seconde, invece, il bene primariamente tutelato è la libertà individuale, e dunque il riferimento alla persona vale in sé, e non è strumentale ad altra tutela di diverso oggetto. In questo senso le prime non sono in senso proprio deliberazioni concernenti persone, le seconde sì. Il parere della giunta precede la legge costituzionale del 1993, di riforma dell’art. 68. È dunque obsoleto nel dettaglio. Ma la ratio che lo sostiene è valida e applicabile.
Di recente, l’autorizzazione alla custodia cautelare in carcere per il senatore Lusi è stata concessa con votazione nominale elettronica, richiesta. Per il sen. De Gregorio, invece, è stata respinta a scrutinio segreto – richiesto – la proposta di concedere l’autorizzazione agli arresti domiciliari, e concessa a voto palese – mancando una diversa richiesta – l’autorizzazione ad una perquisizione locale. Questi casi sono stati considerati riferibili all’art. 113, comma 4, del regolamento, per cui il voto è stato segreto laddove richiesto. Ma va sottolineato che non sono stati invece riferiti al comma 3, come deliberazioni «comunque riguardanti persone». In tal caso, infatti, lo scrutinio sarebbe stato di necessità segreto anche in mancanza di qualsiasi richiesta. Si conferma allora il parere del 1993, per cui deliberazioni che pure hanno ad oggetto individualmente i senatori non sono in senso proprio riguardanti persone.

La decadenza ai sensi dell’art. 66 Cost. nulla ha a che fare con l’art. 113, comma 4, perché non tocca in alcun modo le libertà del parlamentare, e va dunque riferita al comma 3. Assume come bene primario l’integrità dell’istituzione, cui è strumentale la decisione sul mantenimento o perdita della carica per il parlamentare. È espressione del potere-dovere dell’Assemblea di assicurare che la propria composizione sia conforme alla legge. Non per caso si colloca nel titolo I della parte II della Costituzione, e non nella I parte concernente i diritti, tra cui all’art. 51 quello di accesso alle cariche elettive. Non c’è dubbio che la partecipazione di chi non ha titolo rechi un vulnus all’istituzione parlamento, e che la dichiarazione di decadenza sia volta al necessario mantenimento di una legalità che risulterebbe diversamente violata. Nemmeno è dubbio che segni una responsabilità politica dell’assemblea nel suo complesso e delle singole forze politiche. Si può concludere che il voto sulla decadenza non è, come recita il parere della giunta, una deliberazione riguardante in senso proprio persone ai sensi dell’art. 117, comma 3, del regolamento. Se il voto sulla decadenza si colloca al di fuori della previsione dei commi 3 e 4 dell’art. 113 del regolamento, ne segue che non si applica la prescrizione di voto segreto, ma la regola generale del voto palese.

Vorremmo che non rilevasse affatto la modalità di scrutinio, posto che tutelare l’integrità delle istituzioni è obbligo comune per tutte le forze politiche. Ma su quel che l’integrità è o dovrebbe essere le opinioni sono di sicuro oggi diverse.