È a rischio una delle grandi istituzioni della cultura e della memoria italiane: l’Istituto storico italiano per il Medioevo (Isime), che occupa i locali dell’Oratorio dei Filippini in Piazza dell’Orologio, nel complesso di Palazzo Borromini, ha ricevuto l’ingiunzione di sfratto entro 90 giorni; diverrà esecutivo a febbraio. A inviarlo non è un privato, bensì il comune di Roma, che adduce la necessità di sistemare nelle sue sale l’Archivio storico capitolino, collocato nello stesso complesso, per il quale nel 2006 il comune aveva già restaurato sale al secondo e al terzo piano, rimaste a oggi inutilizzate. Legittimo il dubbio che vi siano finalità commerciali, non culturali dietro l’operazione.

PERALTRO, PARLANDO di cultura, è bene ricordare cos’è l’Isime: fondato nel 1883 come Istituto storico italiano per dare unità alla pubblicazione delle fonti di storia nazionale, occupa i medesimi locali dal 1924 e ha assunto il nome attuale nel 1934. Nel Novecento ha preso la direzione della ristampa nazionale dei Rerum Italicarum Scriptores di Antonio Ludovico Muratori, la principale collezione di fonti medievali italiane; ma al di là del glorioso passato, l’Isime svolge tuttora un ruolo culturale importante, a partire dalla biblioteca che raccoglie 100mila volumi e 760 riviste italiane e straniere, nonché dall’Archivio storico riconosciuto nel 1992 di notevole interesse storico dalla Soprintendenza archivistica del Lazio, ed è aperta alla consultazione pubblica; negli anni ha avviato numerose collane, ha una scuola di formazione per giovani studiosi, ha organizzato e ospitato convegni internazionali, di recente ha aperto una sede di riferimento per l’Italia meridionale a Barletta.
È un’istituzione culturale viva e pulsante, non soltanto un monumento del passato; non c’è medievista italiano che non sia transitato per i locali dell’Istituto, che gode di prestigio e notorietà anche all’estero. Sembra incredibile, allora, che il comune di Roma non si preoccupi minimamente, ad esempio, di trovare una destinazione per il patrimonio librario, per gli arredi anch’essi storici, e per le attività di un’istituzione che è sotto la protezione del Mibact.

L’INGIUNZIONE di sfratto menziona un debito dell’Isime, ma l’Istituto controbatte che quei soldi non sono dovuti in quanto sentenze della Corte dei Conti e del Tar del Lazio affermano che non si possono trattare locali occupati da enti culturali e di pubblica utilità alla stregua di esercizi commerciali.
Su un piano più generale, colpisce il totale sprezzo mostrato dal comune di Roma verso la cultura della sua stessa città, che sappiamo avere problemi immensi con i quali i cittadini si devono confrontare nella quotidianità, ma che certo non si risolveranno acquisendo la sede dell’Isime.
Al di là della vicenda, comunque grave e che sta già trovando solidarietà presso gli studiosi e le istituzioni nazionali ed estere, si è indotti a riflettere sul valore che oggi siamo ancora disponibili a conferire alla cultura, a quanto la si consideri sempre più nella categoria del superfluo, dell’ambito dove tagliare risorse se serve realizzare contante. Distruggere un’istituzione storica per ottenere un effimero vantaggio: è davvero nell’interesse della città di Roma?