All’ora di pranzo, un dialogo fitto fra Andrea Orlando e Gianni Cuperlo su un divano di un Transatlantico semideserto. La grana delle liste è scoppiata: Renzi ha promesso di «rispettare le minoranze», le minoranze ci avevano creduto: sbagliato. Orlando dice ai cronisti: «Sono assolutamente convinto che il segretario del partito manterrà le indicazioni e i criteri che ha dato all’ultima direzione nazionale». Una certezza esagerata che in politichese significa il contrario.

DALLA MATTINA RENZI è chiuso nella sua stanza al Nazareno. Con lui Lotti, Guerini, Martina, Fassino e Rosato. Il termine delle liste scade lunedì 29 a mezzanotte, domani la direzione dovrà approvarle, ma le minoranze ancora non sanno su quanti posti posono contare. Gli orlandiani ne chiedono fra i 36 e i 40, e cioè fra il 18 e il 20 per cento (percentuale congressuale) dei 200 posti considerati sicuri dal Pd. Renzi ne offre una quindicina, meno della metà. Nella corrente è rivolta. Nel corso di una riunione serale c’è chi minaccia di «saltare un giro», chi di disertare la direzione, chi di incrociare le braccia in campagna elettorale. Il ministro calma i suoi e si prepara a una trattativa durissima stamattina al Nazareno. Con Renzi in persona: il leader ha praticamente avocato a sé la gestione delle liste, collegio per collegio. Meno ruvido sarà il confronto con Emiliano: con il 9 congressuale ne chiede 20, al momento gliene offrono 5. Nel pomeriggio nella sede arrivano anche i tre di «Insieme», Santagata, Nencini e Bonelli. Tutti impegnati, nessuno però li riceve. In realtà con le liste per aria quello degli alleati arancioni non è precisamente il primo problema di Renzi.

A SINISTRA DEL PD le cose non vanno meglio. Anche via Zanardelli, la sede di Mdp e ormai quartier generale di Leu, è sotto assedio. Le assemblee regionali di Abruzzo, Sardegna e Sicilia sono in rivolta contro i «paracadutati» da Roma. Malumori anche in Toscana e Calabria vengono ’sedati’ in giornata. Civati e i suoi sono neri: pochi posti per loro (tre i sicuri, persino quello di Civati è tutto da conquistare, e non è certo lo stesso trattamento riservato agli altri segretari ’fondatori’ di Leu) e una distribuzione dei candidati che poco ha a che vedere con la professione della «territorialità». Possibile ha posto «il problema politico» abbozzando una minaccia di ritiro delle candidature: la risposta è stata «prendere o lasciare».

NEL POMERIGGIO ARRIVA la delegazione degli abruzzesi per un confronto «franco e leale» con ’il nazionale’. Oggetto dell’incontro l’imposizione dell’ex deputata Costinatino (calabrese di Si) e del collega Leva (molisano di Mdp). Sinistra italiana non si presenta. Finisce comunque in un nulla di fatto. Oggi a Pescara si riunirà l’assemblea regionale. Rullano tamburi di guerra, in molti meditano il ritiro dalle liste. L’uscente Gianni Melilla (Mdp area ex Pisapia), uno dei nomi scelti dal territorio, non le manda a dire: «È un suicidio politico», «si concepisce il Rosatellum come e peggio del Porcellum, un sistema per blindare degli eletti calati dall’alto. Ma gli abruzzesi non sono scemi, quelle persone non le voteranno e dall’Abruzzo non arriverà nemmeno un eletto».

DALLA SARDEGNA continuano a arrivare comunicati durissimi: viene ribadita la «rosa» dei nomi sardi, nella quale c’è Yuri Marcialis, uomo chiave della scissione dal Pd nell’isola. Il Movimento giovanile si appella a Grasso contro l’invio da Roma del candidato Grassi (emiliano di Si), «altrimenti decideremo immediate iniziative compreso il disimpegno».

SE NE PARLERÀ STAMATTINA al tavolo nazionale. Si parlerà anche della Sicilia, dove non è stato preso bene l’atterraggio di Guglielmo Epifani nel listino. Per placare gli animi è stato inviato Davide Zoggia nel ruolo di scudo umano: è veneziano ma è stato coordinatore della campagna di Fava alla regione. Ma una cosa è chiara: a questo punto nulla può cambiare.

«NON CI SONO MARGINI di modifica, di nessun tipo», è la risposta che arriva a chi supplica di rimettere mano ai nomi. Le liste sono il frutto di un delicato incastro fra partiti (Mdp e Si) più la quota Grasso, spostare un candidato significa rompere l’equilibrio.

ENTRO STASERA o domani Grasso darà il suo ok e metterà la faccia su tutta la partita. Bersani, raggiunto dalle telefonate di protesta dei suoi, ha ammesso che in qualche caso si sono fatte cose «che urtano il buon senso», ed ha promesso di intervenire.

INTANTO L’AVVOCATA Anna Falcone, già fondatrice del Brancaccio (fallito «per colpa dei partiti» secondo gli animatori), annuncia la sua corsa da indipendente «perfettamente coerente con le proposte uscite dal Brancaccio. È una sinistra coraggiosa che non scende a compromessi», spiega a La7.