Ormai la direzione ha il format di uno show, il suo show in diretta streaming. Matteo Renzi apre la riunione metà torrente impetuoso metà rullo compressore: gag, battute, scherzi. Saluta il ritorno Dario Franceschini che si è «ripreso dal coccolone», «faccia una vita meno spericolata, meno inciuci e trattative». Ironico, persino autoronico. Lo schema è lo stesso delle conferenze stampa a Palazzo Chigi: lui ci mette la faccia (e fa lo spot), i suoi uomini (e donne) si smazzano i contenuti. Ieri all’ordine del giorno c’erano le liste per le europee. Parto difficile, dopo mesi – anni in alcuni casi – di travagli, lavorii e logorii interni. Renzi fa l’annuncio che colpirà l’opinione pubblica e gli fa fare pace con le donne del suo partito: a volte, dice, è stato «eccessivo il tono di alcuni e alcune sulla parità di genere in legge elettorale». Di cui lui, ammette, non è «un pasdaran». Il calumet è avere tutte donne capolista, «non come bandierine, ma come persone che per esperienza, storia personale e lavoro fatto possano dare un contributo all’Europa».

Le prescelte sono cinque, una per circoscrizione ma anche una per corrente: la lettiana poi renziana Alessia Mosca nel nord ovest; la bersaniana con qualche sbandamento Alessandra Moretti nel nord est, la renziana doc Simona Bonafè al centro, la franceschiniana Pina Picierno al sud e la siciliana Caterina Chinnici per le isole, figlia del magistrato ucciso dalla mafia e già assessora della giunta Lombardo. Renzi chiude in fretta pregando i suoi di glissare su quello che bolle in parlamento: ddl costituzionale, decreto Poletti, Italicum. «Abbiamo un pluralità di questioni aperte, se le affrontiamo tutte non reggiamo la discussione di oggi: nei prossimi 50 giorni darei priorità alla campagna elettorale. Capisco le discussioni, le polemiche, le posizioni diverse ma siamo ad un passo da una campagna elettorale importante».

Preoccupazione superflua. Da giorni le opposizione interne hanno messo la sordina alle polemiche (al netto dei 22 senatori dissidenti e di Fassina sul Def). La tregua è dovuta alla consapevolezza che un’affermazione del Pd alle europee è la precondizione per tutto, anche per le trattative interne. Ma soprattutto da giorni tutte le correnti sono impegnate nella delicata partita delle liste. Sotto i nomi noti come Sergio Cofferati e Paolo De Castro, riconfermati, e il recupero dell’ex ministra Cecile Kyenge, cova la brace. Renzi passa la palla a Lorenzo Guerini, il vicesegretario di saggezza democristiana nominato apposta per governare la guerriglia interna.
Che esplode subito, mentre il premier si eclissa. I romani, reduci dalle risse della propria federazione (nel centro corrono i big Sassoli, Gualtieri, Silvia Costa, Bettini, Domenici) incrociano i ferri sul «poco rinnovamento». Altro capitolo: la direzione concede la deroga ai tre mandati solo a Gianni Pittella, candidato alle primarie poi schieratosi con Renzi. Stavolta a spaccarsi è nientemeno che la commissione di garanzia: per Aurelio Mancuso a norma di statuto manca il quorum, il presidente Franco Marini lo invita a soprassedere sulle regole. In diretta streaming.

Ma sono bazzecole in confronto alla cavalleria rusticana che va in scena sul caso Sicilia. Il governatore Crocetta ha appena rimpastato la sua giunta d’accordo con il renziano Faraone, e facendo invece imbufalire Fausto Raciti, segretario regionale e giovane turco (ma eletto con un accordone interno bipartisan). Crocetta si materializza, i due si attaccano in più round. Il segretario vuole capolista l’ex assessora Chinnici, il presidente la sindaca di Lampedusa Giusy Nicolini, che inveve finisce al terzo posto. Crocetta non ottiene neanche il posto per Beppe Lumia e lamenta un attacco all’antimafia. Raciti però deve rinunciare a Antonello Cracolici, che nelle liste varate dall’assemblea regionale c’era. Al suo posto a Roma hanno messo proprio lui, che prova a ritirarsi a favore dell’escluso.

Fra i nomi siciliani ci sono altre perle: come Marco Zambuto, ex Udc, cuffariano, poi forzista, infine passato nelle truppe renziane. Guerini invita alla calma, e in cambio dell’approvazione si impegna a un confronto con i vertici siciliani. Cracolici va giù pesante: «Una vendetta trasversale tipicamente mafiosa dal duo Crocetta-Faraone». Nella circoscrizione isole i guai non sono finiti.L’ex governatore sardo Renato Soru, candidato, vuole garanzie: la Sardegna ha meno abitanti e di solito non elegge eurodeputati.

Al Sud non c’è pace: la segreteria pugliese, saputo che Michele Emiliano nonè capolista, gli chiede di ritirarsi. E dedicarsi da subito alle regionali di marzo. Dove il dopo-Vendola già divide il Pd. Neanche a dirlo.