Una sorta di «regolamento» che sancisce la «prassi comune sulla questione dei richiedenti asilo e protezione internazionale». Di fatto, si traduce nell’azzeramento della tutela legale di fronte al giudice durante l’udienza di ricorso. Di più: stabilisce «apposite e separate liste di avvocati volontari». E perfino norma la certificazione della salute dei migranti.

È l’intesa sottoscritta il 6 marzo da Paolo Maria Chersevani, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Venezia, e da Manuela Farini in qualità di presidente del Tribunale della città lagunare.

Sono tre pagine dattiloscritte, controfirmate singolarmente e depositate come atto ufficiale con valore conseguente. Il «Protocollo sezione immigrazione» consta di sette commi che, nel dettaglio, stabiliscono procedure e gestione dei fascicoli. Non solo: elencano requisiti, documenti, allegati per i ricorsi nei confronti della Commissione territoriale. E ancora stabiliscono tempi e metodi delle udienze, con tanto di conseguenze per chi non rispetta l’orario fissato e soprattutto la comunicazione che non saranno più concessi rinvii (se non per gravi e provati motivi del migrante).

Balza agli occhi il paragrafo 6: «L’audizione del ricorrente verrà condotta esclusivamente dal Giudice o dal Got delegato, senza l’intervento del difensore». Dunque, a Venezia si inaugura in materia di diritto l’udienza «faccia a faccia» fra chi ricorre alla legge e chi amministra la giustizia. La figura dell’avvocato letteralmente scompare, perché rimane fuori dalla porta.

Altrettanto singolare l’articolo 2 del protocollo: «Si conviene che vengano create apposite e separate liste di Avvocati volontari per gli incarichi giudiziari, corredate di curricula vitae aggiornati. Ai nominativi inseriti verrà garantita ampia turnazione in caso di positivo adempimento dei pregressi incarichi».

In precedenza, si fissa la liquidazione in regime di patrocinio a spese dello stato con compensi minimi di 800 euro se il ricorso viene accolto e di 600 euro in caso di rigetto. Il Tribunale si riserva la revoca del patrocinio nel caso di ricorsi «infondati o inammissibili».

E alla fine è esplicitamente disposta un’altra pretesa nei confronti degli avvocati. Se sanno che il loro assistito «soffre di malattie infettive (ad es. Tbc)», non possono più assicurare il silenzio. Al contrario, «sono tenuti a comunicare la circostanza al Giudice prima dell’udienza e a richiedere al ricorrente la produzione di certificazione che attesti l’assenza di pericolo di contagio». Dunque, l’avvocato che a Venezia resterà fuori dall’aula del dibattimento è chiamato a preoccuparsi della salute del suo assistito, ma anche a «tutelare» quella del giudice…

Vergognoso, scandaloso, inaccettabile: il «caso Venezia» è già rimbalzato oltre i confini degli addetti ai lavori. Chiosa Carlo Cappellari dei Giuristi Democratici: «È davvero stupefacente.

Quel protocollo lascia quanto meno perplessi, se non esterrefatti. Come ci si può prestare in questo modo al totale svilimento della professione legale?».