Quale forma ha la morte? Quale spazio può occupare nel cuore? Francesco Colloneve di professione fa l’imbalsamatore di animali, lo fa con la cura e lo sguardo di un positivista alle prese esclusivamente con quel panorama spesso desolante che è la realtà percepita, concreta. Colloneve si muove con competenza e cura, racconta le piccole astuzie e le tensioni che i possibili errori generano: ogni animale una storia, ogni animale un abbandono.

Colloneve infatti non si occupa dell’addio, ma arriva dopo quando tutto è finito, quando il passato è chiamato a farsi testimone a tratti assurdo del presente. Romanzo leggero e raffinatissimo, Il grande animale (Nottetempo, pp. 161, euro 12), di Gabriele Di Fronzo, è un testo glaciale eppure ricco di continui slittamenti emotivi. Di Fronzo domina la scrittura e come un attento chirurgo interviene con una narrazione vivissima su una storia in cui la morte è già fugata, già data.

Il centro del libro è infatti l’abbandono che si spalma nel tempo tra l’addio e la morte e nel caso del protagonista addirittura permane come forma di azione, come motore della propria stessa ricerca esistenziale. La narrazione alterna il rapporto tra Colloneve e il padre, un rapporto fatto di esili dialoghi spesso legati allo spiccio della quotidianità, ad un’analisi dell’operare. Già perché un imbalsamatore non opera per la vita, ma opera sulla morte, fermando esattamente come fa lei la vita in un istante perenne e assoluto.

L’imbalsamazione cancella il tempo che è stato e anche il tempo che verrà fatto di decadimento e perdita di senso. La tassidermia è l’arte dell’istante che diviene infinito ed soprattutto per la nostra epoca il ritorno di un contemporaneo che schiacciato tra nostalgie e ambizioni quindi tra passato e futuro pare avere le sembianze solo di una icastica morte. In questo lavoro è necessario saper organizzare i passaggi e le funzioni: un’esercizio del passaggio per colui che non subirà mai più alcun passaggio. Il tempo non esiste più, non solo è inafferrabile, ma condanna ad un continuo passare. L’espressione dell’«adesso» contraddistingue i suoi lavori, non un soffio vitale, né quello della morte ma il trucco di una esistenza al tempo presente continuo.

Un meccanismo perfetto per il protagonista che è anche voce narrante, un uomo isolato e appartato che ritrova nel dialogo a tratti torvo con il padre il senso di una esistenza e di un tempo da vivere. Ed è proprio la relazione, questa doppia linea parallela che segna il discorso di Di Fronzo divenendone poi l’asse portante, a dare forma ad un testo che evita ogni forma di brillantezza per incedere a passo svelto con una durezza emotiva, pulsante.

Il grande animale è l’assurdo che diviene azione di normalità, una narrazione piana che raccoglie tutta l’esperienza dell’ultima narrativa italiana – soprattutto degli anni Novanta – riuscendo però a fare un salto di qualità, superando i confini spesso stanchi e ormai inagibili di una letteratura che è stata a tratti di rottura, ma anche di comodo