Appena decollata la lista Tsipras è già oggetto di numerose attenzioni. Non sempre benevoli, come è ovvio. Tra queste si può tralasciare quella di Pierluigi Battista sul Corrierone, per assoluta inconsistenza argomentativa. È invece utile riflettere sulle considerazioni avanzate da Stefano Rodotà ieri su Repubblica, che da alcuni social network sono state volutamente ridotte ad una semplice sconfessione della lista Tsipras, dopo che lo stesso Rodotà ne aveva invece segnato la positività, pur con diversi distinguo, solo qualche giorno fa.

In effetti il ragionamento di Rodotà è ben più ampio. Egli prende atto dei significativi cambiamenti intervenuti nelle dinamiche del quadro politico italiano e vuole «gettare lo sguardo sull’intera fase che abbiamo alle spalle». Per questo smonta puntualmente la costruzione renziana, evidenziando come il tentativo di ritorno ad un sistema bipolare – che passa anche attraverso l’Italicum e il più recente mostruoso compromesso della riforma elettorale in una camera sola – si riduca semplicemente alla rilegittimazione di Berlusconi, pienamente rientrato in campo come deuteragonista, se non addirittura come deus ex machina. Questo comporta una insensibilità, quando non aperta ostilità, da parte di Renzi verso ciò che si muove alla sua sinistra, malgrado le speranze da più d’uno coltivate da quelle parti. Ecco dunque, secondo Rodotà, aprirsi una prateria per le forze di una potenziale sinistra che egli definisce, restringendola, come formata da «Sel, il gruppo di Pippo Civati, la lista Tsipras e i parlamentari (e non solo) che si allontanano dal Movimento 5Stelle».

Tale restrizione è del tutto indebita. Non tanto perché lascia fuori qualche pezzo della nomenclatura della tradizionale sinistra radicale, ma soprattutto perché non tiene conto della sinistra diffusa e del protagonismo dei movimenti. Di quelle stesse forze, insomma, che hanno animato le tante lotte sociali, locali e nazionali, sviluppatesi in questi anni, che hanno dato vita alle manifestazioni del 12 e del 19 ottobre 2013 – scelleratamente ma non obbligatoriamente contrapposte tra loro – e alle ultime vittoriose battaglie referendarie. Tutti questi movimenti e queste coscienze diffuse non entrano in un processo di ricostruzione di uno spazio politico di sinistra in modo passivo, ma o ne sono protagonisti da subito o questo spazio e questo processo non si aprono né si realizzano.

Rodotà afferma esplicitamente che tale processo dovrebbe e potrebbe essere finalizzato alla costruzione di un Nuovo Centro Sinistra, basato sulla liberazione del Pd dall’abbraccio con il Nuovo Centro Destra (le maiuscole sono sue). Qui le distanze sono ancora maggiori. Legare il processo di ricostruzione di una sinistra alla riconquista del Pd, inchiodarlo nel letto di Procuste di un eterno centrosinistra, cui l’aggettivo nuovo sta come il prezzemolo, è esattamente il motivo per il quale tale processo non è mai potuto sorgere. Anche quando ve ne sarebbero state le possibilità, sia oggettive che soggettive – come all’inizio della formazione di Sel – è stata precisamente quella mancanza di autonomia ideale e progettuale a soffocare il bimbo nella culla. La verità è che continua ad essere assente una sincera e approfondita discussione sulla natura del Pd (spunti ve ne sono, manca l’affondo), che vada al di là dell’esame delle volatili dichiarazioni dei suoi dirigenti e che invece si ponga in relazione ai nuovi assetti interni e internazionali del capitalismo e di un sistema istituzionale deprivato di una vera democrazia.

La lista Tsipras da un lato poggia proprio su quella sinistra diffusa e sulle migliori esperienze di quei movimenti (le candidature scelte vanno lette e giudicate in questa luce, fermo restando che la perfezione in questo campo non esiste e strascichi polemici sono inevitabili) e dall’altro dichiaratamente non ha la presunzione di guidare un processo di ricostruzione di un nuovo soggetto di sinistra. Bene lo ha compreso Marco Bascetta, rispondendo su questo giornale a un’antipatizzante lettera di Carlo Formenti. L’obiettivo della lista, questo sì alla sua portata, è quello di portare nelle istituzioni europee, e non solo, una posizione aspramente critica nei confronti della Ue, per modificare radicalmente i trattati e cambiare il segno delle politiche economiche e sociali, senza essere antieuropea. Se avrà successo potrà anche avere un effetto collaterale, ovviamente desiderabile e desiderato, ma che non può essere scambiato per il suo target: quello di invertire la tendenza alla frantumazione della sinistra, di spostare l’elaborazione e l’azione della medesima in una dimensione internazionale, di battersi per la ricostruzione dell’Europa avviando una campagna costituente tra i cittadini europei e non come somma di vittorie in ambito nazionale. Scusate se è poco.