A novembre compirà 48 anni, molti dei quali passati tra palchi e studi di registrazione. Una dedizione totale alla causa musicale che lo ha portato a un ruolo di primo piano sulla scena del rock internazionale, come performer, autore e produttore. Lui è Steven Wilson, già leader di una delle band cardine del nuovo progressive rock, i Porcupine Tree. Il suo nuovo tour sbarcherà in Italia la prossima settimana (il 21 al Teatro Ponchielli di Cremona e il 22 all’Auditorium Conciliazione di Roma) e per l’occasione lo abbiamo raggiunto al telefono: «Sarà una cosa molto ambiziosa, un tour multimediale. Ci sono filmati, un suono in quadrifonia, e una schiera di musicisti di grandissimo livello, da Nick Beggs a Adam Holzman che sono con me da tempo, fino al nuovo batterista Craig Blundell e a Dave Kilminster alle chitarre, un mostro. Ho provato a creare non un semplice concerto, ma un vero e proprio show, da ogni punto di vista. E penso che il pubblico resterà soddisfatto da questa esperienza».

Il concerto si baserà soprattutto sulle canzoni del suo ultimo album Hand. Cannot. Erase., un disco dalla genesi per certi versi inquietante: «L’ispirazione iniziale è venuta da un fatto di cronaca accaduto una decina di anni fa nel nord di Londra, una donna ritrovata morta nel suo appartamento dopo oltre due anni dal decesso. Il fatto è scioccante e incredibile perché, al contrario di quanto si potrebbe pensare, non si trattava di una vecchia signora sola e abbandonata, ma di una giovane donna, popolare e affascinante. Ho pensato di scrivere un disco su come una persona possa scomparire per così tanto tempo senza che nessuno se ne renda conto. C’è dell’ironia in tutto ciò, l’essere umano non è mai stato così solo come oggi, proprio mentre il resto del mondo è a portata di computer o di telefonino».

Il disco, che come suo costume ha le radici nel prog rock anni 70, ha ricevuto consensi unanimi da pubblico e critica tanto da garantire a Wilson ben tre Progressive Music Awards, e la storia che racconta ci riporta ai vecchi concept album, un anacronismo se consideriamo il mondo mordi e fuggi in cui viviamo, dove vige il tutto e subito e la cultura degli mp3: «Beh, per prima cosa io non faccio musica solo per far piacere al pubblico, quello che creo lo faccio principalmente per me. E non si tratta di egocentrismo. Penso che questo sia ciò che un vero artista dovrebbe sempre fare: riflettere la sua personalità, la sua essenza, e regalare agli altri se stesso in questo modo. Fare musica con l’intento di catturare il pubblico è lo scopo dell’ entertainer, non dell’artista. Inoltre percepisco una sorta di rivalsa, di ribellione in atto contro la cultura degli mp3, del tutto e subito, e sta arrivando dalle generazioni più giovani. Molti ragazzi vengono da me con gli LP da autografare, ed è uno sviluppo interessante, perché questi giovani non soffrono di nostalgia nei confronti del vinile. Si stanno solo ribellando a quella che è diventata la norma. Sta nascendo un movimento di ragazzi interessati al disco come esperienza».

Il passato torna spesso nella sua filosofia, e ad esso è legato anche per aver remixato alcuni capolavori storici del prog rock: «Oggi mi trovo in una posizione in cui posso scegliere su cosa lavorare. Ad esempio sono molto eccitato per un progetto sul catalogo dei Tears for Fears e degli Xtc, due band che hanno significato moltissimo per me. Ho in programma anche un lavoro sui dischi dei Roxy Music. Finora mi ero dedicato solo ai classici del prog, adesso posso spaziare tra generi diversi e cimentarmi con quelli che sono stati gli album della mia adolescenza».
Ma guardare al passato nella musica significa esser tacciati di poca originalità: «E’ sempre stato così. I Beatles agli inizi si rifacevano agli artisti rock’n’roll americani, i Led Zeppelin cominciarono copiando i bluesmen di Chicago e così via. Quello che penso è che sebbene certi dischi abbiano le radici nella musica del passato, come il mio Hand. Cannot. Erase., allo stesso tempo non potrebbero essere che un prodotto dei nostri giorni. Ognuno ha bisogno di ispirarsi a qualcosa, perché nessuno arriva dal nulla. Ma se nonostante ciò riesci a riflettere il momento in cui vivi, è come se stessi creando qualcosa di nuovo, di mai sentito».