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Il romanzo di un’esistenza. Nelle 160 pagine di Una vita intera (Neri Pozza, euro 14,00), considerato come uno dei libri più significativi della narrativa di lingua tedesca della scorsa stagione, lo scrittore viennese Robert Seethaler racconta la traiettoria esistenziale di Andreas Egger dalla nascita fino alla scomparsa. Quella che viene descritta con uno stile asciutto ma ricco di immagini, è una vita difficile oltre ogni immaginazione, segnata dal dolore: le botte subite da bambino che renderanno Andreas zoppo, anche se, proprio per questo «in montagna sono l’unico che cammina dritto», quindi il duro lavoro in un’impresa che costruisce funivie – una sorta di Fitzcarraldo alpino -, la perdita della donna amata, uccisa da una valanga e infine quasi un decennio di prigionia sul fronte russo che protrarranno per lui la Seconda guerra mondiale ben oltre l’inizio degli anni Cinquanta. Una vita che Andreas, ad eccezione del periodo trascorso nel campo di prigionia sovietico perso nelle steppe a nord del Mar Nero, passerà inoltre interamente in un’isolata valle di montagna, in gran parte da solo.

Seethaler (che è stato ospite al Salone di Torino) è noto anche per il romanzo Il tabaccaio di Vienna (Rizzoli) ambientato nel 1937 mentre sull’Austria incombe l’imminente annessione al Terzo Reich e in cui un giovane garzone fa la conoscenza del professor Freud e per la sceneggiatura del film Die zweite Frau, premiato al Festival di Monaco di Baviera nel 2009.

Il protagonista di «Una vita intera» appare come un testimone muto della storia: fin dall’infanzia Andreas quasi non parla, è isolato e sembra trovarsi a suo agio più nella natura che tra gli uomini…
Andreas ritiene che le parole possano complicare le sue relazioni con gli altri esseri umani, piuttosto che renderle più agevoli. A suo giudizio, il fatto di non parlare gli permette di avere una vita interiore più ricca, di assaporare appieno la grandiosità del mondo naturale che lo circonda: ciò gli consente probabilmente di avere uno sguardo privilegiato sul mondo e sul secolo in cui vive. Per lui le montagne e la natura non evocano una qualche simbologia, non rappresentano qualcosa su cui proiettare le proprie emozioni o sentimenti, ma costituiscono lo spazio stesso dell’esistenza: è qui che lui lotta ogni giorno per sopravvivere.

Che rapporto c’è tra Andreas e Franz, il giovane protagonista de «Il tabaccaio di Vienna» che veniva travolto dall’ascesa del nazismo? Entrambi paiono evocare la storia dell’Austria che, nel Novecento, non sembra essersi mai ribellata al suo destino.
Ad accumunare Andreas e Franz è prima di tutto il fatto che sono uomini semplici, comuni, certo non si tratta di eroi, che cercano di sopravvivere alle difficoltà che la vita pone sul loro cammino. Sulle vicende che attraversano hanno uno sguardo innocente, direi quasi naif, che riescono a mantenere malgrado le non poche difficoltà con cui saranno costretti a misurarsi. Ed entrambi, alla fine della loro vita, si guarderanno indietro per tentare di fare un bilancio delle loro esistenze.
Conoscono delle piccole rivolte, però è vero che per molti versi, specie Andreas accetta ciò che gli accade senza cercare quasi mai di ribellarsi. Da questo punto di vista, credo di aver effettivamente pensato almeno un po’ alle vicende austriache, anche perché il protagonista di Una vita intera passa gran parte della sua esistenza in una piccola valle di montagna, schiacciato e bloccato da quelle cime che lo circondano e che decidono della sua sorte: una metafora della realtà austriaca forse fin troppo evidente.

Più di Andreas sono addirittura le montagne a cambiare nel corso del libro: da luogo selvaggio subiscono un processo di addomesticamento, diventando una mèta per le gite dominicali. Sono state domate?
Fino a un certo punto. Perché se è vero che la valle in cui nasce, cresce e passa gran parte della sua vita Andreas è un luogo di straordinaria bellezza, anche quando da vecchio farà la guida per i turisti, quest’ultimo non smetterà mai di provare uno sconfinato amore per quei luoghi ma anche un profondo timore: lo stesso che si nutre nei confronti di fenomeni molto più grandi di noi. È vero, la costruzione di una funivia (a cui partecipa anche lui) muta per sempre il volto della valle, ma nessuno riesce a controllare le montagne. È cambiato ciò che avviene intorno e ai piedi delle montagne: rimangono un luogo molto duro dove, non a caso, muoiono oggi molte più persone di quante non ne morivano solo cinquant’anni fa. Per gli uomini che ci vivono sono forse diventate qualcosa di diverso, ma per le montagne stesse poco si è davvero trasformato. Ancora una volta sarà Andreas Egger a doversi adeguare a quanto si è modificato intorno a lui e non il contrario.