Rispetto delle regole è sempre stato il mantra dei 5 Stelle, dalle Alpi al canale di Sicilia. Ma l’ortodossia se in certi casi vale a Parma o a Torino non sembra certo valere in Sicilia. Dove piccole Roma crescono, nel silenzio mediatico. Ci sono comuni siciliani amministrati dai grillini dove più che la regola vige la deregulation, in barba a direttori ed estremisti della disciplina. Sono 8 i municipi governati a marchio M5S al di là dello Stretto attraversato a nuoto dal comico genovese nella campagna elettorale che consentì ai grillini di entrare a Palazzo dei Normanni, la reggia di Federico II diventata casa dei deputati regionali e luogo di sprechi e scandali di ogni tipo. In realtà i comuni M5S sarebbero dovuti essere 9, con Gela. Se non fosse che Grillo, dopo pochi mesi dal trionfo nella città di Rosario Crocetta, ha espulso dal movimento Domenico Messinese, l’ingegnere osannato come il grande vincitore nella terra del vituperato governatore e poi gettato nel tritacarne, bollato come «traditore» dei valori pentastellati.

Il viaggio nel ventre della Sicilia, da Ragusa a Bagheria, da Augusta a Pietraperzia, da Favara a Grammichele fino a Porto Empedocle consegna un movimento frastagliato, senza regole, disomogeneo, dove ogni atto sembra lasciato al “caso”. Dove la litigiosità rende faticosa l’amministrazione con le giunte dalle porte scorrevoli in un continuo cambio di nomi e poltrone, dove i bandi per la selezione degli assessori diventano carta straccia di fronte alla necessità di piazzare attivisti e parenti, dove la regola di non dare spazio a chi abbia avuto esperienze in altri partiti diventa solo propaganda di fronte a sindaci circondanti da ex Pd, ex Pdl, ex Fi e persino fascisti che si vantano su Facebook. Benvenuti nell’isola delle contraddizioni, dove un tempo il Pdl stravinceva 61 a zero le politiche, dove Renzi prometteva la riscossa inciampando poi sulle divisioni e gli scivoloni amministrativi come a Siracusa che ha tolto a Messina l’appellativo di «verminaio», dove ora i 5S tra gli slogan mandano in default i comuni, come strategia perché «il passato non ci appartiene e noi cominciamo da zero». Il tutto condito da boutade degne di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Qualcuna? Dalla moneta locale che i ragusani aspettano ancora, agli ambientalisti a cavallo muniti di lance per ripulire le spiagge di Gela.

Ragusa
Qui la partita si chiama royalties, i diritti che le società di estrazione di petrolio e gas versano alla Regione e al comune dove perforano. Federico Piccitto, il sindaco M5S eletto 3 anni e 3 mesi fa, ha incassato finora 65 milioni. Un fiume di denaro in un comune con un bilancio di 130 milioni. Soldi che dovrebbero servire a finanziare spese correnti. Con il voto favorevole di Forza Italia, che nella città del barocco spesso va a braccetto con i pentastellati. Il gruppo consiliare M5S infatti è spaccato. Così come si è frantumata dopo pochi mesi l’alleanza tra il sindaco e le liste civiche, Città e Partecipiamo, che hanno consentito a Piccitto di vincere il ballottaggio. «Siamo pentiti di quell’alleanza – dice ora Giovanni Iacono, leader di Partecipiamo – I 5 Stelle sono un concentrato di slealtà, immoralità, pressappochismo e opportunismo». Iacono parla di «liti continue in consiglio e guerriglia perenne» e di un movimento antidemocratico. «Hanno vinto – aggiunge – Ma è giusto prendersi tutto? Dalla presidenza del consiglio alle presidenze delle commissioni, tutto è 5S». E la promessa in campagna elettorale di chiudere col passato «non è stata mantenuta. Quelle stesse imprese che prima fagocitavano tutti gli appalti sono ancora lì», accusa Iacono, che si era dimesso da presidente del consiglio comunale contro le manovre all’Assemblea regionale sulle royalties, per poi essere messo alla porta dai suoi alleati M5S dopo aver impedito il passaggio di un emendamento alla finanziaria regionale a firma Nello Di Pasquale (Pd) che avrebbe tolto gli introiti a Ragusa.
In 3 anni il sindaco ha cambiato 5 assessori, ma rimane nel movimento la consigliera Gianna Sigona, nonostante ai piani alti ne avessero annunciato l’espulsione dopo che lei su Fb aveva esaltato il ventennio fascista. E non finisce qui. Anche il mantra grillino contro i doppi incarichi, a Ragusa non vale. I consiglieri Gianluca Leggio e Nella Disca sono pure assessori, ai servizi sociali e allo sviluppo. E poi ci sono le inchieste della Procura, come quella sull’affidamento del canile. «Hanno imparato i peggiori vizi della politica – tuona Iacono – Hanno chiuso la loro sede e si riuniscono nel palazzo del municipio. Ma a che titolo? Pagano loro le spese?». Di una cosa non si sono ancora occupati: Piccitto in campagna elettorale aveva annunciato il conio di una nuova moneta di scambio per sostituire l’euro.

Bagheria
All’inizio Patrizio Cinque era il sindaco da portare come esempio di buona amministrazione per il direttorio 5S. Poi dopo lo scandalo delle case abusive svelato da Le Iene, che lo ha costretto a licenziare l’assessore all’urbanistica Luca Tripoli e a fare mea culpa sulla casa di famiglia, il sindaco è caduto nel dimenticatoio pentastellato. Solo dopo si scopre che Tripoli mentre era assessore era progettista e concessionario di una porzione di spiaggia demaniale nella frazione di Aspra e quando il caso fu affrontato in un consiglio straordinario, i 5 Stelle secretarono la seduta, mettendo alla porta anche la polizia. Da lì in poi, Cinque sembra non azzeccarne una. Prima la festa privata di Capodanno a Palazzo Cutò, dimora del Settecento protetta dai Beni culturali, ora la creazione di un centro di stoccaggio dei rifiuti nell’ex fabbrica Icre, dove la mafia ha sepolto un centinaio di vittime in un area di 500 metri quadri. Un luogo simbolo che dovrebbe alimentare la memoria trasformato in un mega concentrato d’immondizia.

L’elenco, racconta Orazio Amenta, segretario del circolo Pd di Bagheria, «è lungo». Dal depuratore della frazione di Aspra, abbandonato con i residenti che protestano per i cattivi odori, alla gestione del cimitero, fino alle piroette sulla gestione dei rifiuti, «scippata al Coinres» e riaffidata al comune con l’assunzione di parenti e amici dei lavoratori dell’ex consorzio. «Sono ragazzi improvvisati – dice Amenta – non si consultano con nessuno, chi è contro di loro è corrotto e in malafede». Anche qui come a Ragusa, il sindaco, che strizza l’occhio anche a esponenti del centrodestra, ha cambiato un paio di assessori, facendo storcere il naso ad alcuni attivisti. Tra i suoi sostenitori c’è Laura Maggiore, capogruppo M5S in consiglio comunale e poi assessore al Bilancio: qualche anno fa era segretaria del circolo Pd di Bagheria. Finora si sono dimessi 4 assessori, l’ultima è stata Rosanna Balistreri. La sua colpa? Aver messo “mi piace” in un post su Fb di un consigliere dell’opposizione. Al suo posto arriva Romina Aiello, assistente parlamentare M5S e consigliere comunale: triplo incarico.

Gela
Il sindaco Domenico Messinese ha impiegato poco a passare da eroe a traditore. La foto del suo abbraccio, al ballottaggio, con Lucio Greco, esponente di spicco del centrodestra, era stata derubricata dal M5S come la solita strumentalizzazione mediatica. C’era da festeggiare la vittoria nell’enclave di Crocetta, il resto non contava. Ma sono stati sufficienti pochi mesi perché Messinese venisse messo alla gogna. Il primo campanello d’allarme fu il licenziamento dell’assessore Fabrizio Nardo, ingegnere chimico strenuo oppositore dell’Eni. Il meetup andò in tilt. Ci fu una sollevazione, il sindaco rispose poco dopo con il licenziamento di altri tre assessori ortodossi del movimento. E fu guerra. In giunta entrò Simone Siciliano, un recordman: da solo raggruppa 27 deleghe. Eppure Messinese era stato ligio, assumendo nella sua segreteria Rita Scicolone, militante M5S: compenso 20 mila euro all’anno. Gela oggi è una città che vive in un limbo, tra i rifiuti e la spada di Damocle dell’Eni col progetto della green economy al posto del Petrolchimico che non decolla.

Augusta
S’è insediata sei mesi fa Cettina Di Pietro, con i 5 Stelle che hanno occupato tutte le cariche più alte nelle commissioni. Da allora sono cambiati il presidente del Consiglio comunale e il vice sindaco, e l’assessore al Bilancio Giuseppe Schermi è stato cacciato. Ha avuto il tempo però di dichiarare il dissesto delle casse comunali, con le imposte schizzate al massimo, e di farsi approvare in consiglio a maggioranza M5S un mutuo da 8 milioni in 30 anni. Il sindaco lo licenzia per «diversità di vedute sul programma», in realtà Schermi prima era stato rimosso dal comitato portuale, nel pieno dello scandalo Gemelli: aveva votato contro il nuovo piano regolatore del porto che prevedeva investimenti per svariati milioni e lavori nelle banchine e una parte commerciale destinata a sviluppo turistico.

Alcamo
Un solo atto da quando s’è insediato ma è bastato a scatenare un mare di polemiche. Il sindaco Domenico Surdi ha deciso di adeguare la sua indennità e quella degli assessori a quanto prevede la legge: stipendi aumentati, in barba alla propaganda sui tagli. Lui prende quasi 4mila euro al mese, il suo vice 1.900, gli assessori 1.400. Il suo predecessore Sebastiano Bonventre s’era azzerato l’indennità.