Dal 23 aprile scorso l’Islanda aveva registrato i primi segnali di fine dell’emergenza legata al Covid-19 con zero contagiati giornalieri. Una situazione continuata in queste settimane, che ha infine convinto il governo guidato dalla giovane premier ecoprogressista, Katrín Jakobsdóttir, a ufficializzare le tappe per la cosiddetta «fase 3».

La politica di contenimento è sembrata infatti molto efficace: tamponi di massa (oltre il 15% della popolazione testata), app per il tracciamento (scaricata dal 60% degli islandesi) e misure mirate su chiusure e distanziamento sociale. La presidente islandese ha per questo annunciato, martedì, una politica per riaprire al turismo dal 15 giugno.

Chi vorrà recarsi nell’isola dei ghiacci avrà tre possibilità: rimanere in quarantena per 14 giorni al suo arrivo, essere testato nell’aeroporto internazionale di Keflavík o presentare un certificato di screening recente fatto dal paese di partenza, approvato dalle autorità sanitarie islandesi.

Non è ancora chiaro se i test in aeroporto saranno a carico del Governo o dei singoli turisti ma è certo che i passeggeri in arrivo andranno nelle loro sistemazioni durante la notte, dove attenderanno i risultati e solo dopo saranno liberi di muoversi sull’isola avendo anche scaricato l’app anticontagio.

L’annunciata riapertura sarà suscettibile di modifiche in base all’andamento del contagio nelle prossime settimane e lo screening dei turisti sarà messo a disposizione della comunità scientifica mondiale.

Oltre il 30% dell’economia del paese si base sul turismo, quindi il governo ha stanziati 9,5 milioni di euro per una campagna pubblicitaria che promuova il paese come destinazione di viaggio. La campagna si intitola «Ísland – saman í sókn» (Islanda – avanti insieme) è ha lo scopo di «rafforzare l’immagine islandese, aumentare la domanda e mantenere la competitività del turismo» in mercati esteri selezionati. La crisi del turismo legata al Covid-19 aveva portato, per esempio, la compagnia aerea IcelandAir a licenziare oltre 1000 dipendenti su un totale di 1500.

Il governo ha introdotto misure straordinarie di sostegno al reddito e di rimborso per le aziende in crisi, arrivando a coprire fino al 75% dei salari dei dipendenti se le imprese dimostrano di essere in sofferenza per la crisi pandemica. Alcune delle società che avevano usufruito di questi fondi hanno già annunciato la restituzione parziale degli aiuti avendo sovrastimato l’entità della crisi.