Di un governo di destra «stabile e funzionante il più presto possibile», hanno discusso ieri per tre ore il leader di Yamina (nazionalista religioso) Naftali Bennett e il premier Netanyahu. Con quali esiti non si sa. Bennett, che con i suoi sette seggi sarà determinante per formare una maggioranza, stasera vedrà il centrista Yair Lapid (Yesh Atid), che guida il blocco contro Netanyahu. Non è affatto scontato che da questi colloqui emerga qualcosa di utile per l’incarico di premier che il presidente Rivlin affiderà il 7 aprile. E resta sempre da sciogliere il nodo del rapporto tra i partiti sionisti, di destra e di centrosinistra, con l’islamista Mansour Abbas, leader del partito Raam che, uscito sbattendo la porta dalla Lista unita araba, il 23 marzo ha superato a sorpresa la soglia di sbarramento e si ritrova ora in dote quattro seggi fondamentali per le ambizioni sia di Netanyahu che del suo rivale Lapid. Disponibile a entrare in un governo con partiti di destra, Abbas due giorni fa ha dimostrato di essere consapevole della sua centralità nell’attuale situazione di stallo.

Giovedì alle 20, l’ora in cui gli israeliani vedono apparire sugli schermi tv il volto del primo ministro o del suo principale oppositore, invece in diretta televisiva c’era Abbas, protagonista di una conferenza stampa di un politico arabo israeliano mai tanto seguita dalla maggioranza ebraica del paese. Davanti a decine di telecamere, con alle spalle in bella vista le bandiere verdi del movimento islamico, il capo di Raam si è rivolto agli israeliani ebrei. «Quello che ci unisce è maggiore di quanto ci divide …Il mio nome è Mansour Abbas, orgoglioso arabo e musulmano, e cittadino dello stato d’Israele» ha esordito esprimendosi in ebraico. «Tendo la mia mano – ha aggiunto – per creare un’opportunità di coesistenza in questa terra, sacra alle tre religioni monoteistiche ed entrambe le nostre nazioni…Non dobbiamo essere d’accordo su tutto e saremo in disaccordo su molto. Ma dobbiamo dare a noi e i nostri figli l’opportunità, il diritto, di capirci l’uno con l’altro».

Non ha fatto alcun cenno a Gerusalemme, non ha affermato la sua identità di palestinese nella Palestina storica e non ha parlato dei Territori occupati. Inoltre, tradendo le attese dei media, non ha indicato lo schieramento al quale vorrebbe unire il suo partito. «Non voglio far parte di alcun blocco politico, destra o sinistra – ha proclamato – chi ha votato per me mi ha dato un mandato per assicurare il soddisfacimento delle necessità degli arabi». La stampa in ebraico ieri era colma di commenti e analisi, in prevalenza favorevoli, al discorso di Abbas. Innumerevoli le reazioni politiche. La Lista unita (6 seggi) non è stata tenera. Ha condannato Abbas per le «omissioni» su Gerusalemme, le discriminazioni dei palestinesi in Israele e i diritti di quelli in Cisgiordania e Gaza. Ma non sono mancati gli applausi al discorso del leader di Raam.

La giornalista Nahed Dirbas mette in guardia dall’attribuire a Mansour Abbas lo status di leader politico dei palestinesi in Israele. «Non dimentichiamo» ci sollecita «che il 66% degli elettori arabi il 23 marzo ha disertato le urne e i quattro seggi di Raam sono importanti solo perché c’è una paralisi politica tra i partiti sionisti, altrimenti la disponibilità (di Abbas) sarebbe stata ignorata». «Tanti – aggiunge Dirbas – dubitano che Abbas abbia considerato con attenzione la possibilità che una volta cooptato a sostegno di un governo, sia poi messo ai margini dell’esecutivo da Netanyahu o da un altro premier».