Che cosa ci fanno diciotto Imam – tutti membri della grande comunità islamica presente nel nord est italiano – sulla torre di un osservatorio astronomico con lo sguardo volto all’orizzonte? Osservano al telescopio la prima falce di Luna crescente che decreta, com’è spiegato nel Corano, l’inizio di uno dei mesi più importanti per i musulmani: il Ramadan.

È la sera del 26 maggio a Padova. L’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) ospita nella sua sede patavina un evento unico nel suo genere: una nutrita delegazione guidata da Nader Akkad, Imam di Trieste, e Hammad Al Mahamed, Imam di Venezia, varca i cancelli dell’osservatorio e viene ricevuta dal direttore, Massimo Turatto, e da altri astronomi dell’istituto.

«Siamo venuti per assistere a un evento astronomico molto importante per noi musulmani», spiega l’Imam Akkad. «Un evento che per l’Islam rappresenta uno dei segni che Dio utilizza per comunicare con gli uomini: l’avvistamento della prima falce di Luna che apre il mese sacro di Ramadan, dedicato al digiuno, alla preghiera e alla meditazione». Si tratta di un momento importantissimo per la vita di un musulmano – sono oltre 1,5 miliardi i fedeli coinvolti in tutto il mondo – e il periodo dell’anno in cui si celebra è lo stesso in tutti i Paesi islamici. La sua durata può oscillare fra i 29 e i 30 giorni: nel 2017 il Ramadan si conclude la sera del 24 giugno, ovvero il 29 Ramadan 1438. Quello degli islamici è un calendario lunare e si discosta dal nostro sia per durata (ogni anno ha circa 11 giorni in meno rispetto al calendario solare) che per quanto concerne la numerazione degli anni, calcolata a partire dall’egira (l’abbandono della Mecca da parte di Maometto e il suo trasferimento a Medina).

I movimenti apparenti della Luna e del Sole nel cielo spesso indicano, nel Corano, l’inizio delle ricorrenze religiose o fungono da riferimento per determinare i tempi che un musulmano deve dedicare alla preghiera. Si tratta, com’è facile immaginare, di moti astrali assolutamente prevedibili e piuttosto semplici da calcolare per un astronomo.

Coloro che abbracciano l’interpretazione letterale del testo sacro danno molta importanza all’avvistamento a occhio nudo della crescenza lunare a livello locale. Di più: la considerano una condizione necessaria per dichiarare aperto il Ramadan. Non c’è spazio per alcuna previsione astronomica, o meglio: la previsione è accettata ma non può certificare ufficialmente nulla. La Luna dev’essere dunque “avvistata” perché il mese abbia inizio.

Negli ultimi anni si è però fatta strada anche un’interpretazione più moderata della Scrittura, che privilegia l’approccio astronomico all’avvistamento a occhio nudo della crescenza lunare e, ritenendo il metodo previsionale idoneo a un contesto moderno, certifica l’inizio del mese di Ramadan attraverso la fatwā (e quindi con il contributo di esperti di legge coranica). Un’apertura alla scienza che non solo agevola i fedeli in un mondo veloce, dove è fondamentale programmare per tempo la giornata, ma che tiene fede alla capacità di adattamento del testo coranico grazie all’impiego del ragionamento analogico (ijtihād), strumento fondamentale nell’interpretazione della Scrittura sacra.

«La nostra speranza è che, quella di oggi, possa essere solo la prima di una serie di iniziative volte alla costituzione di un osservatorio lunare islamico in Italia», sottolinea l’Imam Akkad. «È sempre più urgente per la nostra comunità individuare un riferimento locale autorevole che ci dia modo di avvistare la Luna senza aspettare che l’annuncio arrivi da altri Paesi. La sede di Padova dell’Istituto nazionale di astrofisica, insieme agli altri osservatori diventano dunque sempre più importanti per i musulmani residenti in Italia».

Nader Akkad, Imam di Trieste, ha una laura in ingegneria. Quando ha contattato l’osservatorio di Padova lo ha fatto in modo estremamente informale, scrivendo una mail. Come usa fra scienziati.

Dice il Corano: “Egli consacrò le stelle a voi affinché voi, in questo modo, poteste essere guidati nell’oscurità”. È sulla base di questo precetto che i musulmani hanno costruito i primi strumenti affidabili con cui l’uomo ha osservato il cielo. Le stelle del firmamento (Aldebaran, Altair) come molta parte della terminologia scientifica che ancora oggi viene utilizzata in astronomia (alidada, azimut, almucantarat) sono figlie di una tradizione astronomica che affonda le radici nella storia dell’Islam.

Non c’è da stupirsi, dunque, se oggi i figli di questa tradizione scoprono e riscoprono il gusto di osservare il cielo. Attraverso l’oculare di un telescopio o comodamente seduti dietro al monitor di un computer dove, grazie all’ausilio di software e app dedicati possono comprendere meglio i moti del pianeta Terra e del suo satellite: la Luna.

«Sicuramente l’Islam si trova in sintonia con il modo di fare della scienza», spiega l’Imam Akkad. «Il Corano descrive gli scienziati come le figure più vicine ai profeti ed è certamente per questo motivo che l’astronomia ha avuto un così ampio sviluppo in passato. Oggi purtroppo ci troviamo a vivere un periodo culturalmente e scientificamente difficile. Ma il mondo islamico sta lavorando per recuperare il disavanzo che si è venuto a creare: penso che questa collaborazione, questo vivere insieme, queste occasioni d’incontro possano dare una visione nuova agli Imam e ai teologi musulmani. Per essere di nuovo vicini agli scienziati. E dare una risposta alle comunità che stanno aspettando un parere condiviso: religioso e scientifico. Da triestino non posso dimenticare l’esempio fornitoci dal professor Abdus Salam, primo scienziato islamico a essere insignito del Premio Nobel (nel 1979 insieme a Sheldon Glashow e a Steven Weinberg per l’elaborazione della teoria elettrodebole in fisica, ndr) e fondatore, insieme a Paolo Budinich, del Centro internazionale di fisica teorica delle Nazioni Unite a Miramare».

Salam venne nominato direttore a 38 anni. Il New York Times parlò allora di Trieste Experiment: una cortina di ferro separava sulla carta geopolitica Stati Uniti e Unione Sovietica, ma le due superpotenze di trovarono d’accordo nel voler sostenere Trieste come zona franca per la ricerca.

La Carta dei musulmani d’Europa è stata pubblicata nel 2008. A febbraio di quest’anno Ministero dell’Interno e Consiglio per i rapporti con l’Islam italiano – a cui afferiscono molte delle associazioni islamiche presenti sul territorio – hanno siglato il Patto nazionale per un Islam italiano: l’obiettivo è creare un tessuto sociale dove i quasi 2 milioni di musulmani presenti in Italia possano trovare espressione collettiva e unitaria per essere riconosciuti a livello nazionale senza diffidenze e contrasti. Può la scienza essere un veicolo di dialogo in questo caso?

Quando Galileo Galilei scese in laguna per presentare al Governo della Serenissima il suo cannocchiale, il Doge ne fu letteralmente entusiasta. Lo rispedì a Padova con lo stipendio raddoppiato. Galileo poté così dedicarsi con maggiore tranquillità ai suoi reali interessi: il cielo e le stelle. Cambiò la storia della scienza e dell’umanità, con un gesto semplice e rivoluzionario: afferrò il cannocchiale e lo puntò verso il cielo notturno. La Luna non era una sfera perfetta come tutti avevano fino ad allora creduto. Giove possedeva piccole lune che gli orbitavano intorno come satelliti. E non era la Terra a stare al centro dell’Universo conosciuto, bensì il Sole.

A Padova come a Trieste ha sempre attecchito il seme del cambiamento. Speriamo che il nord est ci sorprenda positivamente, ancora una volta.