Le sue storie ci hanno abituato ad indagare su cosa si celi in realtà dietro l’aspetto apparentemente tranquillo e rassicurante della società belga. Protagonista indiscusso della narrativa noir delle Fiandre, c’è chi lo ha definito «il Simenon fiammingo», Pieter Aspe ha scritto qualcosa come 35 romanzi in oltre vent’anni di attività letteraria, dopo aver interrotto anzitempo gli studi di sociologia per dedicarsi ad un’infinita serie di lavori, tra cui l’insegnante, il commerciante di vini, il venditore di cereali e granaglie, l’impiegato in un’impresa tessile, il fotografo, l’agente stagionale della polizia marittima e il custode della celebre basilica del Saint-Sang nella natia Bruges.

Buona parte delle sue opere, che hanno venduto oltre un milione e mezzo di copie e che sono alla base delle sceneggiature di una decina di film e di cinque serie tv, vedono come protagonista il commissario di polizia Pieter Van In, personaggio burbero ma facile alla commozione, in grado di ingollare quantità pazzesche di birra e interessato soprattutto a cercare il marcio che si nasconde nei salotti buoni della borghesia fiamminga. Aspe sarà tra i protagonisti della 25a edizione del Courmayeur Noir Festival in programma tra l’8 e il 13 dicembre, dove presenterà Il caso Dreyse (pp. 302, euro 14,50), un’indagine ad alta tensione di Van In tra politici corrotti, broker disonesti e mafiosi internazionali, appena pubblicata, come i precedenti romanzi, da Fazi.

Di fronte alla minaccia jihadista le autorità del Belgio sembrano essere intervenute tardi e con misure inefficaci che hanno finito per spaventare ancora di più la popolazione. Perché è andata così?

La militarizzazione di Bruxelles non è una misura che possa intimidire chi comunque si nasconde, al contrario spaventa i cittadini. Per certi versi è come se si dicesse che hanno vinto i terroristi perché, non sapendo dove andarli a cercare, si blocca semplicemente tutto. Il problema, però, è ancora più complesso e riguarda il modo stesso in cui sono organizzate le istituzioni del paese. Dal punto di vista amministrativo il Belgio è composto da tre entità pressoché autonome, le Fiandre, la Wallonia e la regione di Bruxelles. L’area della capitale è a sua volta divisa in ben 19 comuni che eleggono altrettanti borgomastri e che hanno corpi di polizia separati. Inoltre, da sempre la querelle tra fiamminghi e francofoni produce proprio in quest’area, per certi versi indipendente rispetto alle due maggiori comunità linguistiche, le frizioni e gli scontri più duri. Con il risultato che le notizie relative alla pericolosità di questo o quel presunto jihadista devono compiere un lungo cammino burocratico prima di arrivare agli agenti operativi sul campo: la segnalazione che parte da Anversa o Liegi deve essere prima centralizzata a Bruxelles, presso l’intelligence nazionale, e quindi inviata alle autorità competenti della zona in cui vive il sospetto. Se poi, alla fine di questo lungo percorso si scopre che la persona ha cambiato casa, spostandosi anche di un solo chilometro e mutando perciò il proprio comune di residenza, l’intero iter deve riprendere pressoché da capo. Una vera follia.

È questa impasse istituzionale che ha prodotto l’emergere di realtà come quella di Molenbeek, il comune della banlieue di Bruxelles che i media hanno definito come «la capitale dello jihadismo in Europa»?

Il fatto che in questa zona vivano molti estremisti è prima di tutto il risultato di una politica che nel corso degli ultimi quarant’anni ha cercato di concentrare gli immigrati nei medesimi quartieri che in seguito, a causa dei problemi sociali e in particolare del forte aumento della disoccupazione, si sono trasformati in autentici ghetti. L’altro motivo rimanda ancora una volta alla situazione complessiva del Belgio. La conquista dei comuni limitrofi a Bruxelles rappresenta una partita decisiva per i politici fiamminghi come per quelli walloni che sono disposti a qualunque cosa pur di assicurarsi i voti. Così, da un lato, le amministrazioni locali, compresi i diversi corpi di polizia invece di cooperare sono impegnate in una sorta di competizione continua che rende frammentate e inefficaci gran parte delle indagini, dall’altro, queste stesse istituzioni sono disposte a qualunque compromesso pur di raccogliere consensi. Con il risultato che in comuni dove le persone di origine straniera, spesso in grande maggioranza musulmani, rappresentano il 40% degli elettori e possono fare la differenza tra una lista e l’altra. Nessuno si mostra interessato a prendere di petto il tema della radicalizzazione dei giovani o dell’estendersi della predicazione estremista.

Il Belgio è immerso da giorni in un clima di paura, crede che tutto ciò potrà avere delle conseguenze sul piano politico?

Qualcosa sta già emergendo. Le formazioni politiche schierate più a destra stanno prendendo spunto dall’inefficacia delle azioni condotte fino ad ora per fermare l’estremismo islamico per chiedere misure più dure nei confronti dell’immigrazione. Contemporaneamente, gli estremisti fiamminghi tornano a porre il problema della separazione del paese in due entità nazionali separate con la scusa che il governo federale del paese ha mostrato di non saper risolvere la situazione. Perciò, anche passato questo clima di paura, le cose potrebbero non tornare al loro posto.

I suoi romanzi affrontano le contraddizioni della società belga ma non si sono mai misurati con il terrorismo. Qualcosa cambierà anche per lei?

Già in Het oor van Malchus (Manteau), uscito nelle Fiandre ma non ancora tradotto in francese, ho raccontato una vicenda che ha dei punti di contatto con quanto sta avvenendo ora. Ho infatti immaginato che un gruppo di estremisti cattolici prenda le armi per uccidere tutti coloro che hanno un’altra fede o che conducono uno stile di vita «amorale». Con tutta evidenza, se ai cattolici si sostituiscono i fondamentalisti islamici, si capisce come si stia parlando di ciò che accade oggi. Inoltre, già prima delle stragi di Parigi, avevo iniziato a scrivere un nuovo capitolo delle indagini di Van In. In questo libro, che uscirà il prossimo anno, il commissario conduce un’inchiesta proprio sugli ambienti degli jihadisti che vivono in Belgio, cercando di smascherare alcuni terroristi che nascondono la loro vera identità sotto vite apparentemente ordinarie e banali. Credo infatti che sia questo il vero pericolo con cui dovremo misurarci ancora anche in futuro.