«Battere il ferro finché è caldo»: Salvini conosce il valore del motto e lo mette in pratica. Ieri è stato, di nuovo, il turno dell’Islam: «È evidente che è un rischio. Ho fortissimi dubbi che l’Islam, applicazione letterale del dettato di Maometto, sia compatibile con i nostri valori, la nostra libertà e la nostra Costituzione». Nulla di nuovo, nulla che Salvini non avesse già detto. A parte il fatto che ora, quasi all’improvviso, le sue concioni orientano l’intera campagna elettorale, condizionano tutti, da Berlusconi a Renzi, seminano paura anche ad Arcore.

IN QUESTO MOMENTO il peggior vento che spira in Europa gonfia le vele non solo del Carroccio ma anche quelle del suo capo in prima persona. Se il mercato chiede un uomo forte, lui è pronto a smerciarlo. «Mi accusano di tutto, ma ho le spalle larghe e me ne frego», «Se l’Europa non cambia meglio soli», alla faccia dell’alleato diventato il beniamino di Bruxelles ma anche di Di Maio, scopertosi anche lui all’improvviso europeista. Fino a un sinistro «Il sacrificio di Pamela non sarà vano» che ignora come se nulla fosse ciò che al momento le indagini attestano e soffia sullo stesso fuoco al quale si arroventava Traini.

I SONDAGGI sono impietosi. Berlusconi, raccontano gli intimi, ha scelto la linea dura proprio per dimostrare che nel mazzo degli “uomini forti” non c’è solo Salvini e che lui può essere anche peggio. Ma è costretto a rincorrere perché i suoi eterni cavalli di battaglia, tagli alle tasse e condoni, si rivelano a sorpresa dribblati da quelli securitari e xenofobi che abbondano nella scuderia leghista.

LA LEGA è quasi a un’incollatura da Forza Italia, anche se i sondaggi da Macerata sembra registrino sì un avanzamento del Carroccio, però modesto.

MA IL VERO CRUCCIO di Berlusconi sono le prossime settimane: lo spettro di una campagna tutta giocata sui temi securitari. Il sorpasso sarebbe esiziale: a quel punto sarebbe una Lega che fa apparire quella di Bossi moderata a esprimere il presidente del Consiglio, carica per la quale Berlusconi conferma la candidatura “antileghista” di Tajani. Negli studi tattici degli strateghi elettorali la dorsale dell’Appenino orientale è decisiva sia nella sfida per la maggioranza assoluta in Parlamento sia in quella tra Berlusconi e Salvini per chi impugnerà, se la destra taglierà il traguardo, il bastone del comando.

Fino a pochi giorni fa la seconda partita sembrava chiuso con largo anticipo sull’apertura delle urne. Ma anche da questo punto di vista Macerata sembra rappresentare il tornante di questa campagna elettorale e Salvini sogna: «Basta lo 0,1 per cento più di Forza italia. La nostra coerenza sarebbe premiata».

NON ERA MAI SUCCESSO prima che un attentato terrorista portasse acqua al mulino di chi se non spalleggia il fuciliere almeno lo giustifica: un tipico quadro da “strategia della tensione” si presenta qui rovesciato. La rotta del Pd a Macerata offre un quadro esaustivo e desolante della situazione. Si è ripetuta la dinamica della legge sullo Ius Soli, prima sabotata per anni e poi apertamente affossata per paura di sfidare gli umori di un elettorato ostile. La manifestazione sì, però a suo tempo. Cioè dopo le elezioni. Tra le dichiarazioni di ieri la più agghiacciante ma anche la più eloquente è quella del Pd Ermini, che accusa Salvini di vantarsi senza motivo della durezza: «È in malafede. Con la Lega al governo non sono mai state approvate leggi severe contro chi commette rapine, furti e scippi. Quelle le abbiamo approvate noi».

È l’antico vizio di rincorrere la destra, ma stavolta non la destra corriva di Berlusconi. Quella fascistoide di Salvini