Il califfato si allarga, supera ogni giorno i territori già occupati tra Siria e Iraq. Ieri l’autobomba esplosa di fronte al quartier generale governativo di Irbil, cuore del Kurdistan iracheno, ha ucciso quattro persone e ricordato alla coalizione che l’approccio messo in pratica finora non è per nulla efficace.

Glielo hanno ricordato anche le bandiere nere che sventolano da giorni sulla città libica di Derna, lungo la costa mediterranea, a poca distanza dall’Egitto. A facilitare l’avanzata del braccio libico dell’Isis è sicuramente l’estrema debolezza delle istituzioni nazionali, divise in due: due parlamenti e due governi, uno islamista a Tripoli, l’altro legato a doppio filo all’ex generale Haftar a Tobruk. Secondo fonti interne, il gruppo islamista in Libia (che si è battezzato Barqa, nome della regione dopo l’avvento dell’Islam) conta almeno 800 miliziani, a cui se ne sono aggiunti 300 di ritorno dalle fruttifere esperienze in Siria e Iraq. Cinque i campi di addestramento dei nuovi adepti.

Derna, marginalizzata fin dai tempi di Gheddafi e per questo più propensa a gettarsi tra le braccia islamiste, ha una posizione strategica: punto di transito di miliziani e armi, è ad un passo dall’Egitto, dove da settimane il presidente al-Sisi ha messo in moto la macchina della guerra al califfato. Bombe ufficiose su Bengasi, creazione di una zona cuscinetto al confine con Gaza e aiuti militari dal valore di 1,3 miliardi di dollari dagli Stati uniti.