La Turchia è in tumulto. L’avanzata dell’Isis in Siria e Iraq sta trascinando il paese nel caos politico: ieri proteste organizzate dalle comunità curde sono esplose nella provincia di Mardin, a sud, a poca distanza dalla frontiera con la Siria. La polizia ha reagito con lacrimogeni, cannoni ad acqua e proiettili: un manifestante di 25 anni, Hakan Buksur, è stato ucciso dalle forze di sicurezza. Alle 17 è stato imposto il coprifuoco nella provincia.

La protesta è cominciata dopo la chiamata alla piazza del Partito Democratico del Popolo a sostegno della comunità curdo-siriana di Kobane, assediata dallo Stato Islamico. I curdi sono scesi in strada ad Istanbul, Ankara, Sirte e a sud, provocando la reazione della polizia che prima ha negato l’autorizzazione alle manifestazioni e poi le ha disperse con la violenza.

Alla repressione della polizia fanno eco le nuove dichiarazioni del presidente turco, Recep Erdogan, che ieri è tornato a spingere sulla coalizione sponsorizzata dagli Stati uniti perché invii truppe di terra: «Non potete finirla con il terrorismo solo con i raid aerei», ha detto Erdogan ripetendo la necessità di creare una no-fly zone sul cielo siriano.

L’obiettivo dichiarato da Ankara è quello di impedire all’aviazione di Damasco di alzarsi in volo e approfittare dei bombardamenti occidentali per schiacciare le opposizioni. Erdogan non ha mai fatto mistero delle proprie intenzioni, far cadere il nemico Assad, e l’avanzata jihadista al confine offre la migliore giustificazione all’intervento tanto atteso: ieri Ankara ha fatto appello alla Nato perché pianifichi un’operazione di difesa della Turchia nel caso di avvicinamento dello Stato Islamico alla frontiera.

Una richiesta che arriva insieme alla conferma dello scambio di prigionieri trattato dai vertici turchi con i miliziani dell’Isis: la Gran Bretagna ha chiesto chiarimenti ad Ankara riguardo il presunto rilascio di 180 membri dello Stato Islamico (feriti ad agosto e, pare, curati in ospedali turchi) in cambio dei 49 ostaggi turchi catturati a Mosul a giugno e liberati in circostanze misteriose il 20 settembre.

Nell’occhio del ciclone resta la città di Kobane, circondata su tre lati dagli islamisti che ormai controllano parte della comunità, a nord ovest e a est, e prossima alla caduta. Ieri gli scontri con i combattenti curdi sono proseguiti, concentrandosi nella strada principale che porta verso il centro. La presa di Kobane garantirebbe a al-Baghdadi il controllo pressoché unilaterale della fascia di territorio che da Aleppo arriva a Raqqa e al confine con l’Iraq. Il califfato – autoproclamato a luglio – si concretizza giorno per giorno e per ora la risposta della coalizione sono le bombe: ieri raid hanno colpito le postazioni Isis, dopo giorni di silenzio.

In Iraq, intanto, la guerra civile non dà tregua: lunedì un attentatore suicida ha fatto esplodere un veicolo tra case usate dalle milizie sciite a nord di Samarra come punto di osservazione sul fiume Tigri, uccidendo 17 persone. L’attacco giungeva mentre il consiglio provinciale di Anbar, una delle province irachene occupate dall’Isis, avvertiva dell’arrivo di tremila miliziani islamisti dai confini con la Siria: «Sono in possesso di armi pesanti», ha fatto sapere il capo del consiglio, Sabah Karhoot.

Sempre ad Anbar ieri raid statunitensi hanno ucciso almeno 18 civili (per lo più donne e bambini) a Hit, lungo l’Eufrate, nel tentativo di colpire le postazioni dell’Isis che ha posto sotto assedio la città. Il Commando Centrale Usa smentisce: non ci sono prove di vittime civili, ha detto il maggiore Kellogg, definendo false le notizie riportate dalla stampa locale. Eppure gli ospedali di Hit hanno detto di aver ricevuto 18 corpi senza vita, tra cui bambini e donne.

A monte la nuova strategia islamista: disperdersi tra i civili ed evitare aree esposte. Errori simili non fanno che accrescere il risentimento della popolazione, in particolare quella sunnita, sia verso Baghdad che verso la coalizione. Quei sentimenti che hanno condotto alla crescita popolare dell’Isis e alla spaccatura settaria dell’Iraq non trovano valvola di sfogo politico e continuano così a tradursi in attentati in tutto il paese.

In Siria si registra invece una nuova azione del Fronte al-Nusra: ieri la Custodia di Terra Santa ha fatto sapere che la notte del 5 ottobre il gruppo qaedista ha rapito padre Hanna Jallouf e alcuni civili dopo essere entrato nel convento di San Giuseppe a Knayeh, al confine con il Libano.