Un altro attacco dello Stato Islamico scuote la capitale dello Yemen, Sana’a. Nella notte tra lunedì e martedì un’autobomba è esplosa dietro l’ospedale militare, durante la commemorazione funebre di un parente di due leader del movimento ribelle Houthi, Faycal e Hamid Jayache. Ventotto morti, tra cui otto donne.

Un’esplosione terribile che ha sventrato la strada dove si teneva la commemorazione e subito rivendicata online dall’Isis. L’intensificarsi delle attività di gruppi che si richiamano al califfato generano preoccupazione: seppur non sia ancora possibile stabilire se si tratti di gruppi simpatizzanti o gestiti direttamente dal califfo, è chiaro che chi compie tali stragi in nome dello Stato Islamico abbia dei contatti con miliziani attivi all’esterno. Nel mirino resta il movimento Houthi e i suoi simboli, le moschee sciite della capitale, colpite il 20 marzo, il 17 giugno (primo venerdì di Ramadan) e di nuovo il 20 giugno.

L’avanzata dello Stato Islamico nel paese è la palese conseguenza del caos provocato dalla guerra civile e dall’operazione militare saudita. L’assenza dello Stato e la frammentazione dello Yemen in autorità rivali garantisce maggiore libertà di manovra sia al sedicente califfato che ad Al Qaeda nella Penisola Arabica (Aqap), che ha nello Yemen la propria base operativa. Un nuovo conflitto interno, quello tra Isis e al Qaeda, che si aggiunge ai tanti strati di guerre regionali e globali il cui campo di battaglia è il più povero del paesi del Golfo.

I due gruppi (di cui il primo è costola del secondo) stanno ampliando il proprio raggio d’azione con obiettivi e strategie diversi. Se l’Isis in Yemen opera per attrarre nuovi adepti e per indebolire la resistenza Houthi, trasformandosi indirettamente in braccio armato di Riyadh, al Qaeda – che occupa oggi buona parte della storica provincia est di Hadramaut – intende radicare la propria presenza presentandosi come potere amministrativo e politico oltre che militare. Ed ecco che ad Hadramaut, nelle comunità occupate dai qaedisti, il gruppo ha intessuto profittevoli alleanze con le tribù locali, istituendo con loro consigli municipali condivisi e presentandosi come “resistenza popolare” contro l’avanzata degli sciiti, protezione militare alla minaccia Houthi.

L’obiettivo è chiaro: non quello di dare vita ad una società nuova (ovvero il target del califfato nel resto del Medio Oriente, concretizzato nelle comunità irachene e siriane occupate nell’ultimo anno), ma entrare a far parte della società esistente alla quale imporre la Sharia, sì, ma anche la propria autorità amministrativa dalla quale deriverà ovviamente il controllo delle risorse naturali.
Per questo al Qaeda è tra le prime organizzazioni a condannare gli attacchi dell’Isis: Aqap non opera mettendo bombe nelle moschee ma come un vero e proprio esercito che combatte sul campo il movimento Houthi. Facendo un grosso favore all’Arabia saudita che da tre mesi evita chiaramente di colpire le postazioni qaediste e boicotta i negoziati sponsorizzati dall’Onu per portare lo Yemen fuori dalla crisi.

E mentre la diplozia fallisce, il paese vive una delle peggiori crisi umanitarie della propria storia: oltre un milione di rifugiati, 2.800 morti e 13mila feriti, 21 milioni di persone (l’80% della popolazione) senza accesso regolare a acqua e cibo. Le infrastrutture idriche, elettriche, i servizi di comunicazione, le strade, i porti e gli aeroporti sono ridotti in macerie. Ma nonostante gli appelli dell’Onu, l’ingresso degli aiuti è ancora oggi impedito dall’embargo imposto dall’Arabia saudita. Dall’inizio dell’operazione “Tempesta decisiva”, Riyadh blocca lo Yemen via cielo e via terra. Non entra nulla, né cibo né acqua né carburante, necessario al funzionamento degli ospedali.

E così se i servizi sanitari sono al collasso, a peggiorare la situazione sono – ancora una volta – i raid della coalizione guidata dai monarchi sauditi: lunedì il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon ha chiesto l’apertura di un’inchiesta sul bombardamento saudita che domenica ha colpito un compound delle Nazioni Unite nella città meridionale di Aden. Il raid ha centrato la sede del Programma di Sviluppo Onu, ferendo una delle guardie e danneggiando la struttura. Un’accusa che giunge a poche ore dalla strage di Sarwah, nella provincia di Marib: secondo Press Tv l’aviazione di Riyadh ha colpito l’ennesima zona residenziale, sterminando una famiglia di nove membri.

Proprio ieri Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto che classifica alcune delle violazioni di Riyadh in Yemen: durante i bombardamenti, i jet sauditi hanno colpito case, mercati cittadini, scuole. A dimostrare i crimini di guerra sono le immagini satellitari: nel solo mese di aprile i civili uccisi sono stati almeno 59, di cui 14 donne e 35 bambini.