Kobane è circondata. Alle offensive da est e sud, ieri per la prima volta, si è aggiunta un attacco inatteso. Da nord, dalla Turchia. Un evento che dimostra a chi ancora si mostrava scettico che miliziani dello Stato Islamico sono presenti in territorio turco e si muovono tanto liberamente da poter lanciare un attacco alla città kurdo-siriana dalla frontiera.

L’attacco è stato compiuto ieri mattina all’alba, mentre a Istanbul papa Francesco proseguiva nella sua visita. Venerdì Bergoglio aveva ricordato ad Ankara gli obblighi nei confronti della minaccia Isis, non mancando di elogiare l’accoglienza riservata ai profughi siriani. Ma la Turchia di sforzi ne compie ben pochi. Poche ore dopo un attentatore suicida a bordo di un veicolo blindato attraversava il confine tra Turchia e Siria e si lanciava contro Kobane, uccidendo 30 persone.

«Nel villaggio di Mehser, a poca distanza dal confine siriano e da Kobane, la gente ha paura perché l’Isis è ad un passo – dice al telefono con il manifesto l’attivista kurda Burcu Çiçek Sahinli – Le autorità turche non stanno facendo niente. Il governatore provinciale lo ha confermato: l’Isis è in territorio turco».

Subito dopo l’attacco sono ripresi gli scontri tra islamisti e forze curde, a nord e a sud-est, come riporta il comandante Khazyavayi, a capo dei peshmerga iracheni giunti a Kobane un mese fa: «Si usa artiglieria pesante, la coalizione ha bombardato postazioni islamiste. Le Ypg stanno avanzando, l’Isis ha fallito ed è in ritirata». Secondo fonti interne, i combattenti kurdi controllano oggi l’80% della città. Ma il prezzo pagato per la difesa dell’esperimento democratico in atto a Rojava, sotto assedio Isis e l’attacco politico turco, è alto: oltre mille morti, 200mila rifugiati.

Ankara ha subito negato quanto dichiarato da attivisti kurdi in Turchia e dalle Unità di Protezione Popolare a Kobane e quanto mostrato da video pubblicati su YouTube dove si vede il valico tra Turchia e Siria sotto attacco e si sentono spari provenire dall’interno. A stretto giro dai primi lanci di agenzia sull’attentato suicida, l’ufficio del primo ministro ha rilasciato un comunicato: «È noto che il gruppo terroristico dell’Isis questa mattina [ieri, ndr] sta attaccando Kobane da molti luoghi, in simultanea, e anche il valico di Mursitpinar. Uno di questi attacchi è stato compiuto con un veicolo blindato sul lato siriano. Che il veicolo del menzionato attacco abbia raggiunto il valico dal territorio turco è una bugia».

Un’eventualità, però, difficile da escludere. Da tempo le autorità turche sono accusate di aver indirettamente sostenuto la crescita spropositata dell’Isis e il passaggio di armi e miliziani in territorio siriano, al fine di indebolire il governo di Assad a Damasco. Il mese scorso attivisti kurdi rifugiati a sud della Turchia avevano parlato al manifesto di contatti diretti ed inequivocabili tra l’esercito turco e i miliziani dell’Isis, fotografati mentre discutevano alla frontiera per poi tornare ognuno alle proprie postazioni. Ci hanno raccontato di avere le prove video del passaggio di gruppi di islamisti a Kobane attraverso il permeabile confine turco.

A tali accuse si aggiunge l’approccio politico che ha finora contraddistinto Ankara nella guerra allo Stato Islamico: dopo aver strepitato per un rapido intervento in Siria, il governo turco ha fatto un passo indietro negando le proprie basi militari alla coalizione e rifiutandosi di intervenire a fianco delle Ypg nella città assediata. Dopo le forti pressioni internazionali, Erdogan si è limitato a dare il via libera al passaggio di un minuscolo gruppo di peshmerga, 150, provenienti da Irbil.

Per il resto, immobilismo su tutta la linea, in attesa che gli Stati uniti concedano ad Ankara quanto chiesto da mesi: no-fly zone contro i voli dell’aviazione siriana, zona cuscinetto tra Siria e Turchia e addestramento delle opposizioni moderate anti-Assad, vero target del presidente turco insieme al progetto politico di Kobane e del suo alleato Pkk.

La risposta ad Ankara è giunta ieri dal governo di Damasco che ha reiterato le critiche alla strategia messa in piedi dalla coalizione guidata dagli Usa: «Tutti gli indicatori dicono che oggi l’Isis, dopo due mesi di raid della coalizione, non è più debole – ha commentato il ministro degli Esteri siriano Moallem – Se il Consiglio di Sicurezza e Washington non costringeranno la Turchia a controllare i propri confini, allora non saranno tutte le altre azioni ad eliminare lo Stato Islamico».