Tra la metà degli anni ‘60 e l’inizio del decennio successivo anche in Italia vanno di moda le parrucche spruzzate di lacca e le gonne sopra il ginocchio. La sigaretta accesa tra le dita, un tiro, lo sguardo ammiccante ma anche giocoso, la cornetta del telefono, una sedia, le gambe accavallate che scoprono le giarrettiere, il momento del trucco davanti allo specchio con il rimmel, la spessa striscia di ombretto e il rossetto rosso come il copriletto floreale su cui è accoccolato un gatto bianco e nero. Gli specchi sono più d’uno, come i letti nelle diverse camere. «E di notte per non sentirti solo ricorderai i tuoi giorni felici, ricorderai tutti quanti i miei baci», canta Mina in Un anno d’amore.
Sembrano fotogrammi di una pellicola cinematografica: certamente è la fluidità della narrazione ad attraversare il libro I travestiti. Fotografie a colori di Lisetta Carmi (Genova 1926-Cisternino 2022), a cura di Giovanni Battista Martini (testi di Juliet Jacques, Vittorio Lingiardi e Paola Rosina), novità editoriale di Contrasto (pp.160, euro 39).

DEL CULT DEL ’72 con le immagini in bianco e nero, il più scomodo e famoso libro della fotografa dalle molteplici vite (edito da Sergio Donnabella per Essedì, con l’introduzione dello psicoanalista Elvio Fachinelli) che lei non volle mai più ristampare, è uguale il formato, la texture rosa della copertina, il testo originale dell’autrice, il richiamo alla grafica ma soprattutto l’atmosfera d’intimità condivisa, del rispetto, dell’amicizia tra i soggetti e la fotografa.
Lisetta Carmi frequentò a lungo – dal ’65 al ’71 – la comunità dei travestiti genovesi nel loro scenario quotidiano, l’ex ghetto ebraico, tra i muri scrostati di Vico del Campo e delle vie adiacenti.

IN QUEGLI ANNI, nel Belpaese, è reato presentarsi in pubblico «travestiti da donna», quanto al riconoscimento del passaggio di genere bisognerà aspettare il 1982 con la legge 164/1982. «Scopriamo Genova città diversa», si legge su uno striscione appeso tra due palazzi in uno dei suoi scatti tra le bandierine tricolore. Nel 2017, poi, la riscoperta, per pura casualità, delle diapositive a colori dei travestiti, realizzate con la pellicola Kodak nei formati 6×6 e 24×36, trovate da Martini in una cartellina in fondo a un cassetto nella casa di Cisternino, mentre lavorano insieme alla selezione delle foto per la mostra personale La bellezza della verità al Museo di Roma in Trastevere (2018-19), aggiunge un tassello importante alla storia.
Come molti fotoreporter dell’epoca, anche lei usa contemporaneamente la Leica, la Nikon e la Rolleiflex scattando in bianco e nero e a colori. Di Dalida, Novia, Elena, Gilda, Adriana, Laura, la Gitana e la Morena esistono anche i ritratti a colori, in posa a mezzo busto o figura intera, con il palinsesto d’intonaco e graffiti a mo’ di fondale, così come tra le mura delle loro case borghesi, interpreti di se stesse in déshabillé.

ALCUNE IMMAGINI sembrano servizi di moda con Renée che prende il caffè al bar o sceglie abiti nel reparto di un grande magazzino oppure Cristina in posa sulla spiaggia di Boccadasse. In una foto appare anche Lisetta Carmi, capovolta e riflessa sul vetro, serissima con la macchina fotografica in mano. Non si tratta solo di vivacità e immediatezza conferita dal colore al racconto in sé, ma di trasposizione del concetto stesso di verità.

«CARMI SFRUTTA la potenza comunicativa del colore per fare emergere la verità attraverso la concreta fisicità dei suoi soggetti – scrive il curatore Martini – . La ricerca della verità è suprema linea guida di tutta la sua pratica fotografica. Non più oggetto di cronaca o di studio psico-sociologico, i personaggi che animano le sue fotografie a colori ci appaiono più vicini e reali, pienamente calati nella loro identità femminile».