Edizione 12 per l’annuale festival di videoarte di Lisbona, FUSO, tradizionalmente a fine agosto. Data rispettata anche quest’anno, ma a distanza. Niente più serate fresche nel verde dei giardini dei musei, o sulla riva del Tago; sfumate le proiezioni notturne all’aperto, col pubblico sulle sdraio, avvolto nelle coperte fornite dal festival, al vento fresco dell’oceano, con un pastel de nata e un bicchiere di vino offerti all’entrata. Il festival, che ha fatto della suggestione dei luoghi e delle presentazioni en plein air un suo punto di forza e di originalità, ha reinventato formule e durate, serbando comunque la varietà di approcci, di proposte, di approfondimenti, e ricreando a distanza la rete degli ospiti.

FUSO, diretto da António Câmara Manuel, presenta una selezione di opere, riservata ad artisti portoghesi o artisti stranieri che vivono in Portogallo; e una serie di rassegne particolari e tematiche, proposte da curatori e curatrici internazionali. Quest’anno la serata (di solito vivace e affollatissima, con le votazioni del pubblico e quelle della giuria) è stata gestita a distanza suddividendo i video selezionati nelle giornate del festival e rendendoli visibili anche per la settimana successiva: 17 opere scelte fra quasi duecento. Lo spettatore votava a distanza al termine di ogni sessione. Jean-François Chougnet, storico curatore della sezione, ha illustrato a distanza la scelta delle opere.

Quanto agli incontri tematici, ai focus specifici (che negli anni passati hanno consentito di esplorare periodi anche remoti della videoarte, o fenomeni meno noti, opere di autori e autrici meritevoli di approfondimento), è mancata certo la possibilità del pubblico di conoscere dal vivo i proponenti, gli artisti, le artiste, di incontrare chi ha curato le singole sezioni e chi introduceva ogni anno le serate. La versione a distanza ha consentito, in compenso, di dilatare i tempi: laddove ogni sera c’era giusto il tempo di brevi presentazioni e di rapidi scambi di idee, in versione streaming gli incontri si sono concessi durate distese: gli invitati, in dialogo a distanza col set allestito al MAAT, uno dei musei partner, hanno potuto illustrare, rispondere alle sollecitazioni, in conversazioni certamente più articolate che in passato. Quest’anno in prevalenza donne, le curatrici delle sessioni: da Stati Uniti, Senegal, Italia, Gran Bretagna, Brasile, Slovenia, in incontri coordinati da Rachel Korman, di FUSO.

Il titolo dell’edizione 2020 era Diversidade. Adversidade. Ricchezza della varietà e dell’alterità, il positivo e il negativo che si annidano nelle contraddizioni del presente. Un filo che ha percorso gli incontri, fra produzione femminile e denuncia, avanguardie e questioni geopolitiche. Un’idea di videoarte che da sempre in FUSO si confronta e si mescola con il documento. Per la rassegna vera e propria, con opere tutte recenti, il premio è andato a Welket Bungué (Guinea-Bissau), con il suo video Metalheart, 2020, sintesi poetica ed enigmatica di un paesaggio portuale a Capo Verde fra apparente tranquillità e straniante attività di una scavatrice. Altri premi a Hello Tomorrow, del portoghese Nuno Cera, ritratto di Lisbona dalla finestra, in giorni «normali» e poi nella rarefazione indotta dalla pandemia, mentre Letters to Nowhere di Kopal Joshy, autrice indiana che vive a Lisbona, ha avuto il premio del pubblico: una storia famigliare delicatamente accennata attraverso memorie infantili e vecchie cartoline illustrate. (fusovideoarte.com)

Loops. Expanded: un non-festival esteso
Non vuol essere un Festival, Loops.Expanded, e non ha una giuria ma una rete di curatori e curatrici, luoghi espositivi e occasioni di incontro coordinate. L’idea è nata a Lisbona, fra vari ospiti internazionali che seguono ogni anno il Festival di videoarte FUSO; e dalle iniziative di Loops Lisboa, manifestazione nata nel 2015, diretta da Irit Batsry e Alisson Avila e dedicata alla forma della ripetizione, con l’annuale esposizione di alcune opere scelte fra le molte pervenute. Un cortocircuito fecondo: da un lato una mostra circoscritta all’idea di ciclicità, dall’altro un gruppo di persone attive nell’ambito del video desiderose di superare la classica formula di festival e premi per inventare un circuito di luoghi in cui esporre una, o molte, o poche fra le opere pervenute e selezionate, sulla base delle specificità delle varie situazioni espositive e delle possibilità di spazi e manifestazioni locali.

Un «Loops», quindi, espanso a un panorama internazionale, con un gruppo curatoriale diversificato (da Lisbona a Madrid, da Amsterdam a Pisa a Porto Alegre in Brasile): il network non si propone di assegnare premi ma di dare visibilità a opere che si basano sull’idea del loop, facendo della ripetizione il nucleo di un pensiero sul tempo, sullo spazio, sul vivere. Inoltre, l’idea è quella di una varietà di iniziative: dai concerti alle discussioni, da masterclass a installazioni. Ogni curatore, ogni situazione, può definire un programma diverso, che esplori l’idea del loop trovandone senso, esempi, radici nel cinema e nella videoarte, nella ricerca musicale, in letteratura. Si prevedono quindi workshop o specifici incontri, accanto alle opere scelte.

In pieno lockdown il gruppo ha visionato le 257 opere pervenute da tutto il mondo, confrontandosi online sulle scelte, i punti di vista, le immagini inviate da autori e autrici e arrivando infine a individuare sedici video: una selezione, certo, ma che proprio per l’approccio di partenza non esclude un’ulteriore scelta futura di opere interessanti e oggetto di discussione, o percorsi trasversali, tematici, attraverso il fitto paesaggio dei video arrivati, e che hanno presentato talvolta modalità installative.

Ciclicità, circolarità, ripetizione in senso ampio. Fra le opere pervenute molte sono state realizzate nei mesi del confinamento, a partire dai gesti sempre uguali, dagli immutati paesaggi della casa o dalla finestra, dalle azioni quotidiane del cibo, del sonno.

Così, uno dei partner di Loops.Expanded, il MNAC, Museo di arte contemporanea di Lisbona, prevede di esporre in autunno alcune opere selezionate e sta lavorando nella direzione di una rassegna sulla rappresentazione del tempo e dello spazio in epoca covid, con opere scelte (anche da Emilia Tavares, curatrice MNAC) fra le molte di Loops.Expanded incentrate su questo ossessivo ripetersi. Anche fra i selezionati il confinamento è presente: in Mat’s 6000 frame workout with JLG di Matias Guerra la clausura è scandita dai passi regolari su uno stepper davanti alla finestra-schermo in cui scorre il Godard di Le livre d’images e davanti a una finestra reale. Dall’Italia, fra i selezionati, anche la serie di incredibili scale di The Divine Way di Ilaria di Carlo, in una discesa ossessiva e infinita, e opere di Emanuele Dainotti e del collettivo «Dehors/Audela». Prima tappa del tour il festival Proyector a Madrid; poi di luogo in luogo, e ogni volta titoli e spazi espositivi diversi. (loops-expanded.com)