Quello a Charlie Hebdo è un attacco alla libera manifestazione del pensiero critico, di cui la satira è senz’altro la forma più esplicita e spinta. Gemmazione del mensile di fumetti Charlie (1969), emulo d’oltralpe della rivista italiana Linus, il settimanale nato il 23 novembre 1970 concentra l’essenza dello spirito ribelle e irriverente del maggio parigino con le bédé satiriche di autori come Reiser, Gébé, Cabu, Wolinski. Questi ultimi due fondatori e colonne portanti della rivista sono fra le 12 vittime assieme al direttore Stéphane Charbonnier, in arte Charb, e all’autore Tignous.

Erede e sintesi di una stagione di grafica graffiante, Charlie Hebdo ha come predecessore, oltre a Charlie, quel Hara Kiri «bestiale e cattivo» che segna la svolta adulta del fumetto francese e della satira visiva. Politicamente dissacrante e spregiudicato fustigatore contro ogni potere economico o religioso, lo spirito spietato contro ogni conformismo e pressione repressiva viene traghettato dalla matrice mensile al settimanale direttamente con Georges Wolinski e Cabu.

Il popolarissimo Wolinski si distinse da subito per un segno semplice ed essenziale. In tutti i suoi fumetti, dalle varie scenette senza titolo alle Histoires inventées fino alla serie Hit parade iniziata nel 1967, l’irriverenza e la ferocia contro i miti della società contemporanea sono fortemente presenti, mentre la politicizzazione si fa più acuta. È questo spirito libero e antidogmatico, gioiosamente irrispettoso e anticlericale condiviso da tutta la redazione anche attuale di Charlie Hebdo che si è voluto azzittire e uccidere. Fra i loro acerrimi critici e nemici non ci sono stati certo solo gli integralisti islamici ma anche quelli di tutte le religioni; la destra non lo sopportava ma nemmeno la sinistra istituzionale se ne fidava troppo. I sessuofobi e moralisti di ogni risma ne chiedevano continuamente la censura. Charlie Hebdo nacque anche come risposta alla chiusura censoria de L’Hebdo Hara-Kiri. Il primo numero infatti titolava a lettere cubitali «Non c’è censura in Francia», mentre nella vignetta a lato un uomo dice «Libertà di stampa? Meglio intendere questo che essere sordo». Per calo di lettori, segno dei tempi, il settimanale cessa le pubblicazioni nel dicembre 1981, per poi rinascere undici anni dopo sempre con i «vecchi» Wolinski, Cabu nonché Gébé, Siné, Cavanna e altri, a cui si aggiungono fra le nuove leve Plantu e Charb.

E così la rinnovata corazzata satirica parigina esordisce di nuovo sbattendo in prima pagina un sudato e preoccupato Mitterand disegnato da Cabu che, ai vari problemi da affrontare, aggiunge «È Charlie Hebdo che ritorna».

La satira che si rispetti non può non suscitare scandalo e subire processi. Nel febbraio 2006 la testata francese solidarizza attivamente con il quotidiano danese Jyllands Posten, ripubblicandone le vignette con le note caricature di Maometto. In copertina, disegnato da Cabu, vediamo il profeta sconvolto dire a proposito degli integralisti «È duro essere amato da degli idioti». L’anno dopo segue il processo chiesto da diverse organizzazioni musulmane, anche per una vignetta che mostra Maometto con una bomba nel turbante, mentre intellettuali e giornali si schierano con il settimanale satirico. I giudici assolvono il periodico il 22 marzo 2007 stabilendo che «in una società laica e pluralista, il rispetto di tutte le fedi va di pari passo con la libertà di criticare le religioni, qualunque esse siano». Con l’assassinio di ieri si è voluto appunto colpire la libertà, la laicità, il pluralismo, il pensiero critico, ma Charlie Hebdo ha già dimostrato nella sua storia di saper risorgere e lo farà.