Nel dibattito di queste settimane sul nuovo Governo Conte e sui temi capaci di segnare una vera discontinuità con l’esperienza gialloverde stupisce l’assenza di qualsiasi riferimento alle città – ora fa capolino il nodo di Roma nel programma governativo dei 5Selle, ma sembra più un fatto interno alle dinamiche del Movimento che l’assunzione dei problemi che rappresenta è che ha rappresentato, anche con la gestione Raggi.

Eppure è evidente a tutti che se si vuole aggredire i problemi ambientali e le diseguaglianze sociali – come troviamo con enfasi negli impegni programmatici presentati da PD e 5Stelle -, occorre imprimere un radicale cambiamento nell’agenda dei prossimi mesi in questi spazi dove vive larga parte dei cittadini italiani. La discontinuità sarebbe netta sia con il passato – siamo l’unico Paese europeo a non avere un Ministero o un organismo dello Stato che si occupi del tema -, che con un dibattito politico che continua a ruotare intorno a redditi, tasse e pensioni. Come se il benessere delle persone e la stessa sicurezza fossero qualcosa di slegato dalle strade o dalle abitazioni in cui si vive, dal contesto sociale e dalla bellezza o paura che trasmettono gli spazi intorno.

Ovunque nel mondo è proprio nelle aree urbane dove si trovano oggi le maggiori opportunità di sviluppo e di innovazione, ma anche i più grandi problemi. Nel nostro Paese è qui che si concentra larga parte dei problemi di inquinamento dell’aria e di emissioni di gas serra, ed è proprio nelle periferie delle città metropolitane che sono cresciuti, dopo la lunga crisi iniziata nel 2008, disagio sociale e intolleranza razziale. Le poche politiche che guardano a questi ambiti sono spezzettate tra Ministeri diversi con grande spreco delle poche risorse a disposizione per il contrasto all’abbandono scolastico, per l’accesso alla casa, per la promozione di politiche attive di formazione o per la nascita di attività.

Per non parlare della dimensione assunta dal degrado edilizio e urbanistico in periferie che sono ai margini di città come Roma o Milano o nel centro storico di Taranto e Palermo. La verità è che da tempo in questi spazi si è persa perfino la speranza, perché nulla in questi anni è cambiato e con le politiche attuali nulla potrà cambiare. La ragione è molto semplice, dagli anni Ottanta è prevalsa la tesi che questi problemi fossero una questione locale. Da questo incredibile errore, in cui è caduta anche la sinistra, sono scaturite scelte che hanno continuato a tenere ai margini le aree urbane.

Mentre si discute di trasferimento di poteri e risorse alle Regioni, le città sono scomparse dal dibattito pubblico e manca persino un monitoraggio dei cambiamenti in corso o la volontà di coordinare le politiche. Saltuariamente ci si rende conto dei problemi quando si scopre la distanza incredibile che le nostre città soffrono in termini di dotazione di linee di metropolitana e di tram rispetto alle città europee o di alloggi di edilizia sociale. Ma oggi fa rabbia pensare che persino gli incentivi per la riqualificazione energetica di scuole e palazzi non stiano producendo risultati, se non nei quartieri più ricchi, e sempre per queste ragioni. L’unica novità positiva è che oggi non solo i problemi ambientali e sociali sono profondamente intrecciati, ma anche le risposte. E attraverso nuove politiche climatiche è possibile intervenire per ridurre la spesa per la mobilità e per la casa aiutando le famiglie, oltre che l’inquinamento e la stessa attrattività delle aree urbane, con tutto quello che vuol dire in un Paese con la storia e il patrimonio storico italiano. Ma serva una svolta.

E davvero nel momento in cui si definiscono le priorità e gli impegni su cui il Paese dovrà impegnarsi nei prossimi anni non si deve perdere l’occasione di prendere in mano la bandiera di un cambiamento che abbia al centro le città. In particolare per una sinistra che voglia dimostrare che è possibile costruire una moderna convivenza dentro spazi urbani finalmente sicuri, accoglienti, accessibili per tutti.

* Vicepresidente Legambiente