L’aumento esponenziale delle dimensioni dei festival va a detrimento dei film stessi. Ci si chiede, per esempio, perché film come Stop the Pounding Heart di Roberto Minervini o Les rencontres d’apres minuit di Yann Gonzalez non siano in concorso. Non siamo così ingenui da ignorare la risposta. Ciò non toglie che a tratti si ha l’impressione che si rischia di riabbracciare l’idea di un concorso a quote nazionali. Cosa ci faceva Borgman in competizione, tanto per dire? In questo modo lo spettatore curioso, in cerca di sguardi collocati al di fuori della griglia maggioritari, orbita insistentemente intorno alla Quinzaine e alla Semaine. La speranza, ovviamente, è di trovare il piccolo film in grado di terremotare equilibri acquisiti (come quello di Yann Gonzalez tanto per fare un titolo) o, molto più semplicemente, di restituirci il piacere di visioni sbilenche, imperfette. Curiose.

Les apaches di Thierry de Peretti era uno dei titoli sui quali si era focalizzata maggiormente l’attenzione sin da quando il programma della Quinzaine è stato svelato. Ambientato nell’estremo sud della Corsica, il film ruota intorno a un gruppo di adolescenti che, dopo essere penetrati in una villa e avere rubato una serie di oggetti, tra i quali due fucili da collezione, si ritrovano a dovere fare i conti con la malavita locale. De Peretti mette in campo una notevole energia. Sta attaccato ai corpi dei suoi protagonisti e imprime al film una velocità d’esecuzione esemplare. I problemi sorgono con il procedere del racconto. Assalto al cielo condotto dal basso delle periferie di Porto Vecchio, il film, pur calato nelle dinamiche di gruppo degli adolescenti, sembra progressivamente essere tentato dal filmarli dall’altra parte della barriera. Dalla parte della legge. Così, mentre il film termina con un rovesciamento di fronte circolare – la festa dei ricchi contrapposta alla festa «rubata» degli ultimi – la macchina da presa inizia a seguire il protagonista Jo, come invisibile agli occhi dei ragazzi borghesi intenti a folleggiare. Si spera che il regista resti con Jo. Ma de Peretti si distrae. I ricchi guardano in macchina. Ci vedono. Una soluzione non priva d’efficacia ma inevitabilmente non si può fare a meno di chiedersi che fine abbia Jo. La solidarietà al cinema è una questione di scelte.[do action=”citazione”]Ossessionati da un’idea di ricchezza che ovviamente non riusciranno mai a toccare, sui ragazzi del film di de Peretti sembra sospeso a tratti un giudizio «esterno», come dato a priori.[/do]
Non meno affascinante e imperfetto, anche se più ambizioso formalmente, Nos heros sont mort ce soir di David Perrault, in competizione invece alla Semaine de la critique, è un bizzarro noir esistenziale. Filmato in un bianco e nero calligrafico che richiama visivamente sia le serie B Usa che gli sperimentalismi nouvelle vague di Raoul Coutard (ma la tentazione di The Artist è per forza di cosa dietro l’angolo e non è un bene), Nos heros… è una fantasmagoria che rievoca l’alba degli anni 60 in Francia. Simon è lottatore «buono», indossa la maschera bianca, e propone a Victor, appena tornato dalla guerra, di interpretare la sua nemesi dalla maschera nera sul ring. Una volta in scena Victor non riesce a resistere alla tentazione di cambiare le carte in tavola e di essere, per una volta nella vita, il «buono».

Con un corredo di musica surf vintage, il Gainsbourg di Percussion inquadrato sul giradischi e I’m Cryin’ degli Animals, Perrault crea un film fantasmatico, ultra-stilizzato, che a tratti rischia di perdere per strada i suoi personaggi nonostante l’evidente piacere della messinscena. Interpretato da Denis Menochet (visto anche in Grand Central di Rebecca Zlotowski), Philippe Nahon e il garrelliano Yann Collette (J’entends plus la guitare) e da un irresistibile Pascal Demolon, Nos heros sont morts hier soir assomiglia a tratti a un rifacimento post-post-moderno del realismo poetico dei Carné e Prevert. Bar operai, fatalismo cosmico, malavita e tanta voglia di risalire la china. Con una precisione da BD (basti pensare a Yann Collette biancovestito che sembra uno degli arcinemici di Mandrake), il film di Perrault si offre come uno degli oggetti più intriganti incrociati nell’ambito della Semaine de la critique.