Per il mondo dell’architettura la notizia di questi giorni è la scomparsa di Robert Venturi, avvenuta il 19 settembre a Filadelfia. Nato nel 1925, sempre a Filadelfia, laureato a Princeton nel 1944, lontano da sacrari dell’International Style come Harvard e Yale, dopo la laurea Venturi svolge il suo apprendistato prima con modernisti eterodossi come Eero Saarinen e Oskar Storonov e poi con un maestro inclassificabile come Louis Kahn. Fino alla metà degli anni ’50 Venturi rimane abbastanza «coperto» nella scia dei suoi maestri. Poi nel 1954 inizia un lungo e cruciale soggiorno a Roma come fellow dell’Accademia americana, scoprendo le radici delle passioni di Kahn e comprendendo che da quelle radici, innestate in una sensibilità acutissima allo spirito del tempo, poteva sviluppare una sua personale idea di architettura.

ROMA RIMARRÀ un punto di riferimento importante per il suo lavoro: tornerà spesso, svilupperà amicizie cruciali come quella con Giuseppe Vaccaro, conosciuto in un viaggio alla fine degli anni ’60. Tornato negli Stati Uniti, apre nel 1958 uno studio professionale con John Rauch e realizza i suoi primi progetti: la Guild House, ancora molto influenzata da Louis Kahn, e la splendida casa per sua madre, Vanna Venturi, che rimarrà come il manifesto più chiaro della sua architettura e il suo capolavoro realizzato. La casa riassume infatti perfettamente gli elementi primari della ricerca venturiana: la modernità «a pareti lisce», la tradizione americana della casa disegnata intorno al grande camino, la lezione manierista del frontone spezzato e la dose di ironia che l’autore apprende da Luigi Moretti e dalla sua indimenticabile casa del Girasole di via Bruno Buozzi.

NEL 1966 ESCE IL PRIMO dei due capolavori editoriali di Venturi, Complexity and Contradiction, coetaneo dell’Architettura della città di Aldo Rossi e senza dubbio il libro di architettura più influente dopo Verso un’architettura di Le Corbusier. Il testo è il suo programma di revisione del modernismo, ostile al minimalismo scomodo e ieratico di Mies van der Rohe (less is a bore!), aperto alla decorazione, all’ironia, ai materiali storici e a un immaginario visivo permeabile a tutte le influenze, dal classicismo al vernacolare.
Dopo il 1960 nella vita e nel lavoro di Venturi compare Denise Scott Brown, nata in Sudafricana da famiglia ebrea di area baltica. Si incontrano a University of Pennsylvania; si sposano nel 1967. Denise avrà un impatto enorme: porterà una sensibilità più «europea» alla politica, alle questioni urbane, alla cultura pop, temprata nel cosmopolitismo e nei suoi trascorsi londinesi. Proprio la curiosità «urbanistica» di Denise spingerà Venturi verso Learning from Las Vegas, un altro libro seminale pubblicato nel 1972 e dedicato a documentare il viaggio/ricerca svolto insieme a un gruppo di studenti di Yale nella capitale del vizio (anche architettonico). Tra Roma (1956) e Las Vegas (1972) si concentra la fase più intensa della produzione venturiana: i riferimenti liberi e spesso ironici alla storia e alla tradizione, l’inclusione del linguaggio e della simbologia pop, l’idea di architettura come segno (o insegna) senza la quale sarebbe impossibile comprendere il successivo manierismo di Peter Eisenman o di Rem Koolhaas, l’idea sublime di suddividere l’architettura tra papere (edifici che somigliano a quello che fanno) e capannoni decorati (che spiegano quello che fanno con un’insegna). In mezzo a queste ricerche alcuni progetti folgoranti: la Fire Station di Columbus Indiana (1964), il museo del football di New Brunswick (1967, mai realizzato), la casa Lieb, sempre del 1967, protagonista qualche anno fa di un lungo viaggio su una chiatta che l’ha salvata dalla demolizione.

CON GLI ANNI ’70 E ’80 per lo studio Venturi Scott Brown arrivano tre novità importanti. Prima di tutto l’affermazione del postmoderno, che naturalmente non può non riconoscere in Venturi un pioniere ma che gli regala un’etichetta che il nostro autore non accetterà mai. «Noi non siamo postmodernisti e non imitiamo la storia – spiegava a ragione la coppia – noi siamo architetti manieristi».
Il loro interesse, sembra abbastanza chiaro, è sempre stato l’architettura come segno – sociale, simbolico, urbano – e non come spazio. Nel clima di entusiasmo postmodernista – venendo al secondo punto – vengono incarichi ed edifici importanti, grandi ampliamenti per università americane, la nuova ala della National Gallery di Londra, i lavori per la Disney. Infine, nel 1991, il riconoscimento di un Pritzker dolceamaro che si trasforma in una gaffe sessista, perché premia il solo Robert e trascura incomprensibilmente Denise. Venturi, fermo e gentile come sempre, ricorda subito che tutto quello che di buono ha fatto lo ha fatto insieme a lei.