La sfida celtica tra Irlanda e Galles era il primo dei molti momenti della verità che un torneo come il Sei Nazioni propone ogni anno. Dal vecchio Lansdowne Road di Dublino, ora ristrutturato e ribattezzato Aviva in omaggio allo sponsor, si attendeva un verdetto secco. Il Galles, due volte di seguito campione, era in grado di puntare a un terzo titolo? E l’Irlanda, che domenica scorsa aveva disposto con agio degli scozzesi, era davvero risorta dopo l’ultimo posto nella scorsa stagione?

La sentenza è inequivocabile. Il Galles non è più lo stesso, fa fatica, è stanco. E l’Irlanda, quando gioca come ieri, tirando fuori il suo celebre fighting spirit e distruggendo gli avversari sul piano fisico, è un brutto cliente per qualsiasi squadra.

E’ finita 26 a 3. Uno scarto feroce. Gli irlandesi hanno segnato una meta per tempo, con Chris Henry e Paddy Jackson, il resto lo ha fatto il piede di Jonathan Sexton, ieri autore di una partita perfetta. Ma soprattutto i ramarroni non hanno lasciato scampo ai gallesi, dominandoli dal primo all’ultimo minuto della partita. Li hanno aggrediti in ogni punto del campo, e hanno vinto su tutti i piani: nel confronto fisico, nella battaglia nei raggruppamenti, nel gioco tattico, nelle touches e persino nella disciplina (una dimensione che di solito gli irlandesi non amano particolarmente). Di contro, il Galles non ha praticamente mai messo piede nei 22 metri avversari, se non negli ultimi venti minuti di partita, e quando finalmente si è affacciato lì dentro ha vanificato tutto con errori a volte banali ma più spesso frutto di affanno e frustrazione. Poca disciplina, molto nervosismo, troppe proteste con l’arbitro.

Ai dragoni c’è voluta quasi un’ora per riuscire a racimolare un calcio di punizione e gli unici tre punti di tutta la partita (Leigh Halfpenny, al 56’). Nel mentre l’Irlanda si era già issata sul 16-0, demolendo, impatto dopo impatto, le resistenze delle maglie rosse e sfruttando il sontuoso gioco al piede del suo regista Sexton. Assoluto il dominio nelle touches, dove giganteggiava Paul O’Connell, il colosso di Limerick, e dalle quali ripartiva ogni volta, micidiale, la maul avanzante irlandese. Mai il Galles si è trovato nelle condizioni di poter lanciare i suoi trequarti, l’arma più temibile: non pervenuti Cuthbert e North, troppo occupati a difendere gli altri compagni di reparto. Adesso l’Irlanda marcia a punteggio pieno, mentre per i gallesi nulla è definitivamente perduto (a parte il grande slam) ma molto appare compromesso.

Adesso si dirà che la bella prestazione degli azzurri, sabato scorso a Cardiff, si spiega in parte con l’appannamento del Galles. E’ anche possibile, ma ogni partita fa storia a sé. Domenica 9 l’Italia è a Parigi, allo Stade de France. L’anno scorso i galletti arrivarono a Roma con un po’ di supponenza e vennero puniti. Gli azzurri giocarono un gran rugby e si portarono a casa il “trofeo Garibaldi”, poi giunse anche la vittoria sull’Irlanda. Le ultime due trasferte romane (2011 e 2013) sono costate care ai francesi, tanto fieri di sé quanto è ricco il loro campionato, eppure alle prese con vari problemi con la nazionale. Nelle ultime due stagioni l’entraineur Philippe Saint’André ha provato una notevole quantità di giocatori senza peraltro trovare la giusta quadra: la mediana è un rebus e i trequarti vanno a corrente alternata. Però giocano in casa, i galletti, e meditano vendetta: se perdere non piace a nessuno, perdere con i ritals gli è insopportabile.

Sabato scorso, contro i “cari nemici” inglesi, gli è andata bene: erano partiti con grandeur (due mete di Huget nel primo quarto d’ora), poi si erano fatti rimontare e superare e a quattro minuti dalla fine erano sotto, ma una meta di Fickou li ha salvati: sospirone di sollievo di tutto lo Stade. Oggi vogliono una vittoria convincente se non catartica, poi andranno in Scozia e così potrebbero concludere i primi tre turni a punteggio pieno.

Ma veniamo all’Italia. Bella partita a casa dei gallesi e critiche lusinghiere. Adesso viene il difficile. Nei suoi quindici anni di presenza nel torneo più antico e glorioso del mondo la nazionale italiana ha regalato ai suoi tifosi qualche piccola gemma, alcune vittorie che restano scolpite nel granito, ma soprattutto ha reso il rugby uno sport molto amato e seguito – attenzione, però: se la nazionale piace e riempie gli stadi, i club viaggiano nell’anonimato e le due franchigie (Treviso e Zebre) non decollano. A mancare è sempre stata la continuità dei risultati. Alla bella e faticata vittoria o alla sconfitta onorevole sono sempre seguite partite deludenti e sconfitte ingloriose. Soltanto due volte (2007 e 2013) l’Italia è riuscita a vincere due partite nel corso del torneo. E dunque ci vuole quel salto: un Sei Nazioni ben giocato dall’inizio alla fine. Forse la partita di oggi non è la più indicata per sperare in una vittoria, ma sarebbe gran cosa vedere lo stesso gioco e lo stesso spirito di una settimana fa.

Jacques Brunel ha annunciato cinque cambi rispetto a Cardiff. Dentro De Marchi, Minto, Furno, Garcia e Iannone dal primo minuto, al posto rispettivamente di Rizzo, Zanni, Bortolami, Sgarbi e Esposito. Nessun ripensamento rispetto alla “linea verde” che ben ha figurato con i gallesi e questa è cosa buona, soprattutto per la nostra trequarti, il reparto che in questi quindici anni ci ha fatto soffrire di più. Giocano: McLean; Sarto, Campagnaro, Garcia, Iannone; Allan, Gori; Parisse, Minto, Bergamasco; Geldenhuis, Furno; Castrogiovanni, Ghiraldini, De Marchi.

Nella serata di sabato, a Edinburgo, l’Inghilterra ha dominato la Scozia e si è aggiudicata la Calcutta Cup. Gli scozzesi, finora sempre sconfitti, tra quindici giorni saranno a Roma per sfidare gli azzurri.