«Nell’esercizio dei compiti gravosi che lo Stato ha affidato all’Iri questo deve avere la possibilità di scegliere gli uomini da mettere al comando delle aziende nelle serie organizzazioni industriali del paese (…) Se l’Iri non potesse fare ciò esso fallirebbe certamente gli scopi che lo Stato gli ha imposto di conseguire».
Così scriveva Alberto Beneduce ad Achille Starace, un importante gerarca fascista (da “Beneduce il finanziere di Mussolini” di Mimmo Franzinelli e Marco Magnani pagina 242 Mondadori 2009). L’economia italiana, dopo una fase di crescita subito dopo la fine della prima guerra mondiale, entrò in una seria crisi sia produttiva che finanziaria. L’inizio degli anni ’30 (pesava la crisi del ’29) fu molto grave e coinvolse anche le banche: si arrivò al rischio di fallimento della Banca d’Italia e così maturò la creazione dell’Iri, sigla che significa, appunto, Istituto di Ricostruzione Industriale.
L’Iri nacque, per decreto, il 23 gennaio 1933, e durò fino al 1992. Ebbe subito successo anche grazie all’intesa tra Mussolini e Beneduce, nittiano, antifascista, massone. I due si intesero cosi bene che molti parlano dell’Iri del Duce e Beneduce.
L’Iri negli anni ’30 salvò l’industria italiana nella quale le imprese – allora, come anche oggi – non erano animate da un forte spirito imprenditoriale e forte era la tendenza ad accomodamenti parassitari e prefallimentari. Ma non dobbiamo neppure dimenticare il ruolo straordinario che l’Iri ha avuto nel secondo dopoguerra e nella produzione del cosiddetto “miracolo italiano”.
Ma oggi? Forte è l’impressione di essere tornati agli anni ’30. La produttività è ferma da almeno una ventina di anni, la produzione stagna o cala, la disoccupazione raggiunge livelli straordinariamente elevati e i giovani – viene da dire – sono senza avvenire. C’è la globalizzazione e siamo coinvolti nella crisi globale, che è anche epocale perchè agisce sul peso e sul ruolo del lavoro vivo: Marx ci raccomandava di stare attenti alla caduta tendenziale del saggio di profitto. Situazione nuova e piuttosto difficile, anzi molto difficile e pericolosa per la contemporanea crisi della politica e della cultura. Stare fermi ed aspettare una assai improbabile ripresa, a mio parere può portare solo al peggio.
In questo difficile e pericoloso contesto viene da pensare a una resurrezione dell’Iri. Certo, nel secondo dopoguerra e senza il Duce e Beneduce è stato assai utile. Ma oggi la situazione internazionale e nazionale è molto cambiata. Una ripetizione dell’Iri sarebbe difficile e forse inutile ma qualche altra forma di iniziativa di politica economica è necessaria e con l’attuale Unione Europea non può essere solo nazionale. Ci sono le elezioni europee, sperare che qualche novità emerga è piuttosto difficile. Ma la crisi impone la ricerca di vie d’uscita. Viviamo tempi difficili. Aprire una discussione, a mio parere, sarebbe utile e, forse, necessario.