«L’amministrazione Trump può correggere il comportamento passato, togliere le sanzioni e tornare al tavolo delle trattative», ha dichiarato il ministro degli Esteri iraniano Zarif in una lunga intervista a Der Spiegel rilanciata dai media della Repubblica islamica. Il capo della diplomazia di Teheran, un moderato, non ha così escluso possibilità di negoziati con gli Stati Uniti dopo l’ultima escalation di tensioni, seguita all’assassinio del comandante Soleimani. In risposta, il presidente statunitense ha commentato su Twitter: «Il ministro degli Esteri iraniano dice che l’Iran vuole negoziare con gli US ma vuole che le sanzioni vengano rimosse. No grazie!».

I RAPPORTI tra Teheran e Washington continuano a essere tesi. Le radici di questa tensione sono nella Storia, perché a partire dalla rivoluzione del 1979 i vertici della Repubblica islamica non hanno perso l’occasione per sfidare gli Stati Uniti. Il 4 novembre 1979, per esempio, l’Ayatollah Khomeini aveva avallato la presa degli ostaggi nell’ambasciata statunitense a Teheran: 52 ostaggi erano stati trattenuti 444 giorni. E l’8 gennaio scorso, per vendicare la morte del generale Soleimani, i pasdaran hanno lanciato 15 missili su due basi americane in Iraq. In questa occasione Trump ha twittato “All is well”, ma si è poi venuto a sapere che una dozzina di soldati statunitensi sarebbero finiti in ospedale per commozione cerebrale.

La questione nucleare è al centro della tensione tra Iran e Usa. Ieri Ali Asghar Zarean, assistente speciale del capo dell’Organizzazione per l’energia atomica dell’Iran (Aeoi) ha reso noto che «la scorta iraniana di uranio ha superato i 1.200 kg e verrà rapidamente aggiunta allo stock di uranio arricchito». E il prossimo 8 aprile «l’Iran svelerà al mondo una nuova generazione di centrifughe». La ripresa dell’arricchimento dell’uranio è la risposta al ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall’accordo nucleare del 2015 tra l’Iran e i 5+1, ovvero dai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania. Se gli Stati Uniti si sono ritirati nel 2018, imponendo due nuovi round di pesantissime sanzioni economiche contro Teheran, la risposta di ayatollah e pasdaran si è fatta attendere per un anno.

Durante questo periodo, i vertici della Repubblica islamica hanno atteso invano che l’Unione Europea rispettasse i termini dell’accordo, costato un notevole impegno diplomatico. Bruxelles non ha però fatto nulla per contrastare l’embargo di Washington. Di conseguenza, le vendite di greggio iraniano sono scese da 2 milioni e mezzo di barili al giorno a soli 400mila. A causa delle sanzioni, il governo del moderato Rohani si è trovato ad affrontare una durissima crisi economica e a metà novembre aveva dovuto diminuire i sussidi al carburante.

LA POPOLAZIONE aveva protestato, la repressione era stata violenta. Trump ha minacciato di imporre dazi all’industria automobilistica europea e per questo motivo lo scorso 14 gennaio gli E3 (Francia, Germania, Regno Unito) hanno innescato il meccanismo di risoluzione delle dispute che porterà Teheran di fronte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Venerdì scorso il capo della diplomazia europea Joseph Borrell ha dichiarato che sono necessarie discussioni con esperti di alto livello per mantenere in essere l’accordo nucleare, gli incontri sono quindi rimandati a febbraio.

A PAGARE il prezzo di questa tensione sono, oltre agli iraniani, anche le imprese europee perché lo scorso 10 gennaio il Tesoro Usa ha imposto nuove sanzioni che mettono a rischio qualsiasi tipo di business con Teheran. Secondo l’avvocato Marco Padovan di Milano – esperto di sanzioni -, infatti, «saranno sanzionabili le imprese nei settori delle costruzioni, minerario, manifatturiero e tessile o comunque ritenute parti di una transazione significativa per la fornitura da o verso l’Iran di beni o servizi significativi utilizzati in connessione a tali settori. Potenzialmente sono sanzionabili le forniture in Iran di beni utilizzabili nella produzione di beni di consumo o industriali». Di conseguenza, se Trump rifiuta di togliere le sanzioni e tornare al tavolo delle trattative a pagare il conto saranno purtroppo anche le imprese italiane.