13.223 nuovi positivi al Covid-19 e 476 morti. Questo il bilancio di ieri in Iran. I decessi complessivi sono 43.417, ma si tratta di un dato al ribasso: vengono conteggiati solo i morti in ospedali. Da domani, una trentina di città tra cui la capitale Teheran saranno in lockdown. Nelle zone rosse saranno chiuse tutte le attività non essenziali.

Se l’Iran è il paese del Medio Oriente più colpito dalla pandemia e, secondo uno studio della Johns Hopkins, è al terzo posto al mondo per incidenza di morti rispetto ai positivi (cinque decessi ogni 100 positivi) è perché le autorità non hanno chiuso tutto per timore di un peggioramento della crisi economica.

E non è da sottovalutare l’impatto del sistema sanzionatorio statunitense, rimesso in funzione dal presidente Trump nel 2018. Sanzioni che impediscono all’Iran di acquistare medicinali perché, pur non essendo soggetti a embargo, pagare le forniture è impossibile a causa dell’embargo finanziario.

Detto questo, il lockdown che entrerà in vigore sabato è anche funzionale alla repressione: è trascorso un anno dalle proteste scatenate dal rincaro della benzina. Nel 2019 le autorità iraniane avevano spento internet dal 15 al 21 novembre. Secondo Amnesty International, i morti sarebbero stati almeno 304. La magistratura non ha punito nessuno per l’uso eccessivo della forza nel disperdere i dimostranti.

GLI SCIITI HANNO l’abitudine di commemorare i propri morti: nei periodi più bui della storia queste celebrazioni funebri hanno permesso agli sciiti di riunirsi e di elaborare strategie sovversive contro regimi opprimenti. Ora, si rischia lo stesso copione.

Per questo motivo, le autorità iraniane hanno deciso di chiudere le grandi città in questi giorni: la pandemia è un problema grave, reale, ed è anche un ottimo pretesto per non rischiare di avere troppa gente in strada.

PER L’IRAN è un momento delicato: oltre alla recessione, incombe lo spettro di un attacco. Il vicepresidente statunitense Pence e il segretario di Stato Pompeo avrebbero scoraggiato Trump dal colpire la centrale nucleare di Natanz con i missili o con un attacco informatico. Senza il sostegno della Casa bianca, forse anche gli israeliani rinunceranno.

Ma il programma nucleare iraniano resta sotto osservazione: gli ispettori dell’Aiea non possono più entrare a Natanz e le scorte di uranio sono 12 volte superiori a quelle consentite dall’accordo nucleare del 2015. Sarebbero sufficienti per costruire due atomiche entro primavera.

In ogni caso, si tratta di una quantità decisamente inferiore rispetto alle scorte di uranio arricchito che l’Iran aveva prima della firma dell’accordo sul nucleare. Il 97%di quell’uranio era stato mandato in Russia in seguito all’accordo.

Cosa cambierà con Biden alla Casa bianca? Mercoledì il ministro degli esteri iraniano Zarif ha dichiarato: «Se le sanzioni verranno tolte e non vengono posti ostacoli alle attività economiche dell’Iran, allora l’Iran rispetterà i suoi impegni».

DUE CONSIDERAZIONI: era stato il presidente democratico Obama a volere l’accordo nucleare, ma il Congresso non lo aveva mai ratificato. Per questo, la volontà politica di Biden sarà fondamentale, anche di fronte al disaccordo di Israele e dei sauditi.

Seconda considerazione: gli iraniani hanno interesse a tornare all’accordo perché è condizione indispensabile per il business. Lo stesso vale per l’amministrazione Biden: a giugno gli iraniani andranno alle urne per eleggere il nuovo presidente e di certo è meglio trattare subito con il moderato Rohani piuttosto che con un esponente dell’ala conservatrice.