«Ci troviamo in un confronto con l’America in cui non c’è nessuno al mondo che non loda l’Iran perché è stato leale rispetto alla sua firma dell’intesa sul nucleare. Ad essere contro di noi sono coloro che hanno tradito i patti e gli accordi internazionali». Così ha dichiarato ieri il presidente iraniano Hassan Rohani in un discorso a Tehran in diretta tv.

CON LE SUE INVETTIVE, «il presidente Trump è riuscito a ricompattare tutte le forze politiche all’interno dell’Iran: sia i conservatori sia i moderati sono concordi sul fatto che l’Iran debba reagire. Dimostrando, dopo oltre un anno di attesa, la propria irritazione per la violazione dell’accordo nucleare del 2015 sia da parte degli Stati uniti sia da parte dell’Ue che, seppur condannando a parole il ritiro unilaterale voluto dagli Usa di Trump, di fatto ne ha condiviso la politica rinunciando a fare affari con Tehran». Così commenta il giornalista Davood Abbasi dell’Irib, l’emittente di Stato iraniana, non più corrispondente dell’Agi da Tehran a causa delle sanzioni che impediscono alle società europee di versare emolumenti ai residenti in Iran.

A proposito degli attacchi alle petroliere, tra cui una battente bandiera giapponese, che si sono verificati mentre il premier giapponese Shinzo Abe era a Tehran, Davood Abbasi aggiunge: «Dietro non ci sono né le forze armate iraniane né i pasdaran, quanto piuttosto coloro che non vogliono la mediazione giapponese nella normalizzazione dei rapporti tra Iran e Stati uniti, ovvero Israele e Arabia Saudita».

NONOSTANTE I VENTI DI GUERRA sul Golfo persico, «per ora i turisti italiani non sembrano spaventarsi e di qui a ottobre, che è alta stagione, si registra il tutto esaurito negli alberghi iraniani. A cambiare la situazione potrebbe essere solo l’inserimento dell’Iran, da parte dei paesi europei, tra le mete non sicure», osserva Davood Abbasi. Con l’ultimatum di 60 giorni in scadenza il prossimo 7 luglio, «l’Iran ha cercato di ricominciare a fare affari con l’Europa, ma senza successo. Ora, poco per volta, comincerà e non rispettare più i termini dell’accordo, da cui non trae vantaggio. In ogni caso, l’azione di Trump è il preludio di una nuova trattativa e, per alzare la posta in gioco, i vertici di Tehran vogliono riattivare il programma nucleare», conclude Davood Abbasi.

Dello stesso parere è Nasim Marashi, giornalista, scrittrice e sceneggiatrice classe 1984 e residente a Tehran: «Trump è imprevedibile, ma è anche un uomo d’affari: ho l’impressione che con l’Iran stia tirando la corda, non per arrivare alla guerra ma per alzare il più possibile il prezzo durante un eventuale negoziato». Autrice del bel romanzo L’autunno è l’ultima stagione dell’anno (pubblicato in Italia da Ponte33 nella traduzione di Parisa Nazari), Nasim Marashi osserva: «Le minacce di Trump non contribuiscono a far uscire l’Iran dall’impasse: il governo è guidato dai moderati, che hanno però incontrato molti ostacoli. Da quando c’è Trump non hanno più una controparte con cui dialogare negli Stati uniti e questo li ha indeboliti. Inoltre, ci sono stati gravi casi di corruzione all’interno della loro fazione che hanno ulteriormente deteriorato la loro immagine agli occhi della popolazione. Sono passati solo trent’anni dalla fine della guerra Iran-Iraq e siamo stati testimoni dei conflitti scoppiati nei paesi vicini, in Iraq e Afghanistan. Nessuno si augura un nuovo conflitto. Gli iraniani sono molto provati, alle prossime elezioni molti si asterranno o voteranno per i conservatori».

L’AUMENTO DEI PREZZI esercita una pressione reale sulla vita della gente. Non mancano le responsabilità dello stato, ma la causa principale restano le sanzioni. «È diventato molto difficile reperire alcuni medicinali: mi serviva un farmaco che non viene prodotto in Iran, da usare per prepararmi a un’operazione, e sembrava impossibile trovarlo, dopo mille telefonate ne ho trovato una sola confezione, con la scadenza ravvicinata», racconta Nasim Marashi. Comprarli all’estero, per chi può viaggiare, vuol dire pagarli molto di più, perché lo stato iraniano fornisce sussidi per l’acquisto di farmaci d’importazione. Sussidi che sono diminuiti, a causa del drastico calo delle vendite di petrolio, sotto embargo.

A FARNE LE SPESE sono anche i giornali, conclude la scrittrice: «La carta è sempre più cara, e questo ha ricadute sulla libertà di espressione perché molte testate indipendenti sono state costrette a chiudere perché non potevano sostenere i costi di stampa. Chi resiste è costretto ad aumentare il prezzo. Anche le case editrici fanno fatica, stampano meno libri e questo sbarra la strada a tanti autori, soprattutto esordienti. Le sanzioni esercitano quindi una forma di censura, mettono in difficoltà l’editoria indipendente».