A nulla sono valse le pressioni esercitate da poco più di un anno da Ankara su Berlino, affinché il Bundestag non approvasse la risoluzione che riconosce come «genocidio» il massacro degli armeni avvenuto nel 1915 ad opera dell’Impero Ottomano. Con un solo voto contrario e un astenuto, la Germania ha infatti approvato la risoluzione dal titolo «Memoria e commemorazione del genocidio degli armeni e altre minoranze cristiane tra il 1915-16«, presentata da un vasto schieramento parlamentare che va dalla coalizione al governo, composta dalla Cdu della cancelliera Angela Merkel e dal Spd, il partito socialdemocratico e dai Verdi, che sono all’opposizione.

Ciò, come era ampiamente prevedibile, ha fatto irritare profondamente Ankara, il cui governo ha subito con veemenza dichiarato che questo riconoscimento è «un errore storico’» e a cui avrebbe dato una adeguata risposta richiamando da Berlino il suo ambasciatore. Il presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdogan, in visita di Stato in Africa, ha commentato con durezza tale decisione dicendo che essa avrebbe «compromesso seriamente i rapporti tra i due paesi» e attraverso il vicepremier Nurman Kurtulmus, ha fatto sapere che al suo ritorno avrebbe formulato una più precisa e puntuale risposta a quella che considera «una gravissima e inaccettabile provocazione, profondamente lesiva della relazione di amicizia tra Ankara e Berlino».

Il neo primo ministro turco Binali Yildirim, proprio poche ore prima del voto al Bundestag, aveva avvertito la cancelliera Angela Merkel che il risultato del voto sarebbe equivalso a una «vera prova di amicizia» tra i due paesi. Secondo alcuni osservatori turchi sarebbe in gioco la stabilita’ dei rapporti bilaterali in campo economico e militare. Ma in realtà Merkel ha subito cercato di gettare acqua sul fuoco dicendo che «l’amicizia tra i due paesi è molto solida» e solidi sono anche i loro legami strategici. La Germania è il paese col maggiore interscambio commerciale con la Turchia; entrambi i paesi sono inoltre membri della Nato. Attorno a questa vicenda storica dolorosa ogni anno si accende un’aspra polemica tra il governo turco, che nega la natura genocidiaria di quell’evento e i paesi che nel mondo la denunciano.

Ad ogni ricorrenza della data di quel massacro, il 24 aprile 1915, la comunita armena reclama il riconoscimento di quello che considera un genocidio. La Turchia di oggi non nega che vi siano stati quei «massacri»; l’anno scorso, l’allora primo ministro turco Ahmet Davutoglu, si era spinto ben oltre le dichiarazioni del presidente Erdogan nel riconoscere l’orrore di quegli eventi e infatti dichiarò: «Le deportazioni degli armeni sono un crimine contro l’umanità». È questa fu una dichiarazione considerata da molti storica, dopo decenni di forte rimozione di quella tragedia. E lo stesso presidente Erdogan aveva riconosciuto l’importanza che il 24 aprile ha per gli armeni.

Aveva descritto quegli eventi storici come «disumani» e aveva presentato le condoglianze ai nipoti di coloro che persero la vita parlando di un «dolore condiviso» e per la prima volta, un anno fa, proprio in occasione del centenario dei massacri, le due comunità, la turca e l’armena, celebrarono gli insieme la memoria dello sterminio. La Turchia rifiuta il termine «genocidio». Sostiene da sempre che non vi era alcuna volontà di genocidio da parte dell’allora governo dei «Giovani turchi»; che non vi era un piano premeditato di eliminazione di un popolo, che si è trattato di massacri e deportazioni da inquadrare all’interno del contesto della prima guerra mondiale.

Oggi della questione armena, di genocidio o massacri, si parla apertamente e sono stati pubblicati libri e prodotti film su questa immane tragedia e le vittime del 1915 vengono commemorate ogni anno il 24 aprile ad Istanbul e in tante altre città della Turchia.

Si tratta di un cambiamento radicale, di una accresciuta consapevolezza di quegli eventi. Alcuni osservatori ritengono che la crisi che si è aperta tra Ankara e Berlino potrebbe mettere ancor più in pericolo il controverso accordo di riammissione dei migranti stipulato tra Unione europea e Turchia il 18 marzo scorso, voluto dalla cancelliera tedesca Merkel. Alla tenuta di questo accordo tiene moltissimo anche Ankara; con esso spera infatti di ottenere entro giugno la liberalizzazione dei visti d’ingresso per i propri cittadini nell’area Schengen. E ciò costituisce per la Turchia un punto fondamentale dell’accordo con l’Ue.

Tale questione si è arenata perché Ankara non ha alcuna intenzione di provvedere a riformare la legge liberticida antiterrorismo come prevista dai 72 criteri inseriti nell’accordo sulla liberalizzazione dei visti e ha minacciato di non rispettare il patto sui migranti se Bruxelles non provvederà ad abolire i visti.
E si teme che la crisi che si è aperta in queste ore tra Berlino ed Ankara possa ripercuotersi sull’accordo riguardante i migranti e che dunque il governo turco potrebbe esercitare un ulteriore pressione su Bruxelles per ammorbidire l’Ue sulla richiesta di riforma della legge antiterrorismo necessaria per procedere nel negoziato.