Da Arcore, Berlusconi cala la sua carta quando diventa evidente che il Pd non solo non ha alcuna intenzione di tornare sulla decisione di farlo decadere, ma nemmeno è disposto a far passare la manovra dilatoria su cui puntava il relatore Augello. Una riunione congiunta dei gruppi parlamentari congiunti alla di lui presenza, quanto di più ufficiale e solenne si possa immaginare, convocata per mercoledì alle 13. Quando in un modo o nell’altro la Giunta dovrebbe essere arrivata a un voto.

Convocare un’assemblea del genere, in un momento simile, equivale a mettere sul tavolo la minaccia esplicita della crisi di governo. In realtà c’è anche la residua speranza di costringere con l’estremo ricatto il Pd a ripensarci. Arrovellato nel suo eterno dilemma, nella sua lacerante indecisione, il Cavaliere un po’ ancora s’illude davvero. Forse la notte porterà consiglio. Forse i moniti affidati al capogruppo Brunetta e alla ministra Gelmini (in sintesi: se il Pd si allineerà alla posizione rigida del senatore e membro della Giunta Casson il governo andrà a fondo) sposteranno qualcosa o qualcuno. Ma se così non sarà, se il Pd concretizzerà con un voto le posizioni ribadite fino allo sfinimento per un mese e oltre, il condannato sembra deciso ad aprire la crisi. Lo era ieri. Forse lo è ancora oggi. Non è detto che lo rimanga fino a domani, ma di certo il momento della verità è arrivato e di spazio per evitare di scegliere tra la guerra e la resa quasi non ce n’è più.

Eppure il Pdl era arrivato all’appuntamento, lungamente atteso, con la prima riunione della Giunta per le immunità del Senato animato da un inspiegabile ottimismo. Qualche ex ministro, neppure collocato nel colombaio, sussurrava ai giornalisti che i giochi erano fatti, la soluzione individuata. Il Pd avrebbe favorito la perdita di tempo, il Quirinale avrebbe messo a punto una formula tale da salvare condannatone e governicchio. Persino il relatore Andrea Augello, l’uomo dei draghi, dissertava sulla porta della Giunta sul clima cambiato rispetto a quando nel Pd imperavano “sans-culottes e berretti frigidi” (impossibile dire se la turba sessuale dei berretti rivoluzionari, quelli frigi, fosse farina del sacco del dragologo oppure conseguenza di uno svarione giornalistico).

I membri del Pdl in Giunta devono aver capito di non aver capito proprio niente della situazione in tempi rapidi. Quando Augello decide di mettere in discussione le pregiudiziali di costituzionalità prima di iniziare con la relazione propriamente detta, giusto per mandare a vuoto la prima giornata di lavori, il Pd reagisce chiedendo di trasformare il voto sulle pregiudiziali in voto sul’inetra relazione.
E’ una mossa di guerra aperta, forse anche una forzatura, il cui senso politico è palese. Il Partito democratico non ha alcuna intenzione di lasciare al M5S la palma dei difensori della legalità, degli intransigenti, dei duri e puri che non si prestano nemmeno al giochino del rinvio e della dilatazione dei tempi. Quella palma, quel ruolo, nella base del centrosinistra valgono voti sonanti e i democratici non li molleranno facilmente agli ingordi grillini.
La reazione spiazza già i pdl in Giunta, figurarsi il capo in villa. La direttiva è perentoria: a esprimerla compiutamente, quando in serata è evidente che il Pd non arretra, ci pensa il capo dei senatori Schifani, che di suo sarebbe anche una colomba ma si rende conto che non è tempo di ramoscelli d’ulivo: «Se si dovesse arrivare al voto sulle pregiudiziali addirittura entro domani (oggi) non credo si potrebbe più parlare di maggioranza a sostegno del governo».

Partita chiusa? Non è detto. I tempi potrebbero slittare e dare così modo alle colombe di allestire un’ultima offensiva. Che non approderebbe a niente, ma rinvierebbe di qualche giorno il momento della verità. Berlusconi potrebbe decidere di aspettare il voto dell’aula, che sin dall’inizio di questa vicenda è la sola vera incognita. Non è escluso che, tra franchi tiratori, giochi tattici e istinto di sopravvivenza dei senatori spaventati dallo scioglimento della legislatura, quel voto riservi sorprese. Solo che a un voto che salvasse il seggio del pregiudicato difficilmente il governo potrebbe sopravvivere.
Così la scelta, per il tapino di Arcore, resta quella di sempre: resa incodizionata o guerra totale.