Dieci anni fa, nel 2009, usciva in Francia presso le Editions du Rouergue Les arbres pleurent aussi (Anche gli alberi piangono), testo dell’autrice franco-tunisina Irène Cohen-Janca (classe 1954) e illustrazioni del torinese Maurizio A. C. Quarello (classe 1974). Il libro riceve una grande accoglienza, viene tradotto in italiano da Paolo Cesari e pubblicato da Orecchio acerbo. Con una delicatezza al limite dell’inaudito l’autrice rende paroliere un vecchio ippocastano, che svetta davanti alla finestra di una casa nel centro di Amsterdam, in Prinsengracht 263, nel quartiere di Jordaan. L’albero è malato e sta per morire e decide di raccontare una delle tante storie che ha potuto incamerare nei suoi oltre 150 anni. È la storia della bambina Anna, che noi abbiamo ovviamente conosciuto grazie al diario della sua scomparsa, quel mucchio di fogli raccolti da un’amica nell’appartamento vuoto, dopo la retata dei poliziotti che ha condannato la famiglia Frank al campo di concentramento di Bergen-Belsen, il principio del mese di agosto dell’anno 1944.

I componimenti poetici della Cohen-Janca ci consentono di abitare alcuni momenti dell’esistenza sottile della bambina e dei suoi familiari nell’appartamento, di prendere per pochi versi contatto con il pensiero stesso dell’albero e le condizioni di progressivo accerchiamento che assediava la comunità ebraica. Leggiamo alcuni estratti dal Diario (nella traduzione italiana di Laura Pignatti per l’edizione Einaudi). E possiamo ammirare i disegni delicatissimi, poetici, porporati, sognanti di Quarello, che ci mostra i viali alberati a castagni d’India della città, le geometrie delle foglie composte di questa specie di albero molto diffusa, ad Amsterdam quanto a Berlino, a Vienna quanto a Milano o Torino; riconosciamo la bambina che si nasconde dietro una finestra e poi scrive con penna e calamaio, scene di strada e l’arrivo della gestapo, nera e ordinata, all’ingresso della casa dei Frank. L’albero «condannato al silenzio degli alberi, davanti al piccolo lucernaio ormai vuoto», è «rimasto muto». Eppure si rende conto che prima che la sua voce si perda verrà clonato, magari strappandogli un ramo da mettere in terra dopo la sua caduta, un suo successore giustificato anzitutto dall’esempio della vita spettrale della piccola Anna.

L’ippocastano monumentale si è lasciando andare a terra il 23 agosto 2010, già da alcuni anni la fondazione del museo in memoria di Anna Frank aveva predisposto la costruzione di una gabbia che potesse sostenere l’albero moribondo, ma il vento e la pioggia hanno accelerato la sua fine. Un centinaio di polloni e molote “castagne matte” sono stati prelevati per consentire al suo dna di sopravvivere in altre piante che sono state messe a dimora in vari giardini del mondo, alle Nazioni Unite a New York, a Indianapolis, in California, nel Michigan, a Washington, ma anche in Francia, a Parigi e a Lione, e in Italia, a Varese e a Roma.