Il governo, stabilisce la Costituzione, deve presentare in parlamento i decreti legge «il giorno stesso» e le camere, persino se sciolte, devono essere riunite «entro cinque giorni». Il decreto Cura Italia ha avuto bisogno di altre 30 ore e più per prendere forma dopo l’annuncio e, dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, oggi la presidente del senato Elisabetta Casellati dovrebbe comunicare all’aula il deposito del testo e lo assegnerà per l’esame alle commissioni. Ma ci saranno i senatori sufficienti per esaminarlo, modificarlo e infine approvarlo?

Sebbene non ai livelli della camera dei deputati, il coronavirus ha colpito anche al senato della Repubblica – tutti i componenti della commissione sanità sono in quarantena dopo aver partecipato a una riunione con il collega e viceministro Sileri che due giorni fa ha annunciato di essere positivo. Garantire procedure normali pare impossibile, visto che per prudenza, paura o contagio sarà difficile portare a Roma il numero legale di senatori necessario a validare le sedute d’aula. Le votazioni di mercoledì scorso sullo scostamento di bilancio, una cerimonia organizzata alla quale hanno partecipato un numero selezionato e ridotto di parlamentari, sono state possibili perché c’era l’unanimità sul provvedimento, cosa che adesso sul decreto non c’è (oltre alle critiche delle opposizioni di destra perdurano i malumori di parte della maggioranza). Le proposte per uscire da una situazione in cui «bisognerebbe modificare il regolamento perché siamo in emergenza, ma siamo in emergenza e non si può modificare il regolamento», come dice il deputato Pd Ceccanti, non mancano. Anche originali, come riunire il parlamento al Palasport (Quagliariello) o approvare proprio adesso una modifica costituzionale (proposta Boschi-Rosato di Italia viva). Mentre non decolla la soluzione del voto telematico a distanza (previsto per l’emergenza coronavirus dalle Cortes spagnole, che però lo avevano già nel regolamento), anche per la resistenza dell’apparato e la contrarietà dei presidenti Casellati e Fico. Qualche certezza però c’è

Oggi si riunirà – fisicamente – la conferenza dei capigruppo del senato, ieri il presidente della camera ha fatto un giro di telefonate con i gruppi. Il nuovo decreto (121 articoli previsti) dovrebbe assorbire anche il precedente del 2 marzo (37 articoli) e forse anche quello dedicato all’emergenza nei tribunali dell’8 marzo (6 articoli). Si aprirebbe una mini sessione di bilancio, con tanto di audizioni in videoconferenza – che potrebbe essere incardinata nelle commissioni prima e quinta, o quinta e undicesima (lavoro) – e che sarebbe ospitata direttamente nell’aula di palazzo Madama. Una cinquantina di senatori in 320 posti, le distanze di sicurezza sarebbero garantite. Con la possibilità per i gruppi di sostituire tutti i senatori che non possono raggiungere Roma, così da garantire la proporzionalità della rappresentanza. Resta il problema del voto d’aula – se per questi decreti non è urgentissimo lo è per quello sul cuneo fiscale in seconda lettura a Montecitorio, scade il 5 aprile. Esclusa l’ipotesi del voto a distanza – «io non sono contrario a priori, ma dobbiamo vederla come estrema ratio se e quando il parlamento non dovesse essere in condizione di riunirsi e oggi non è così», dice il capogruppo di Leu alla camera Fornaro – resta la replica del voto a scaglioni di tutti i senatori presenti. Con il rischio che i presenti non siano abbastanza. E poi c’è la proposta del senatore Stefano (vicepresidente della commissione bilancio, Pd) secondo il quale se tutti sono d’accordo si potrebbe derogare eccezionalmente al regolamento, autorizzando l’esame in sede deliberante nelle commissioni di tutti i decreti legati al coronavirus. Un parlamento in scala ridotta finché dura l’emergenza.