In Francia ci sono 66 milioni di specialisti della scuola, tanti quanto gli abitanti del paese. Essendo uno dei paesi europei che fanno più figli, tutti hanno in un modo o nell’altro a che fare con la scuola. Intanto, c’è il peso della storia: è la scuola pubblica, laica, repubblicana e gratuita (in Francia anche i libri sono gratis fino alla fine del liceo) che ha costruito la Francia, il maestro della terza repubblica, hussard de la République delle leggi di Jules Ferry, è una figura che permane nella mitologia nazionale. Ancora oggi, malgrado la crisi, il budget per la scuola resta il principale capitolo di spesa pubblica (e nella finanziaria 2015, piena di tagli, sarà in aumento del 2,4%). Questo investimento, anche sentimentale, nella scuola pubblica rende tanto più frustranti i confronti internazionali. I francesi aspettano con ansia ogni anno i risultati dell’inchiesta Pisa dell’Ocse e si rammaricano per i mediocri risultati. Secondo il rapporto Pisa del 2012, la scuola francese sarebbe il sistema che rafforza di più le ineguaglianze sociali di partenza. 150mila giovani ogni anno escono dal percorso scolastico senza aver ottenuto nessun diploma, anche se l’obiettivo di avere l’80% di una generazione con il Bac (il diploma di fine studi secondari) sta per essere raggiunto (77,3% nel 2014). Degli studiosi della scuola, molto numerosi in Francia, definiscono «ipocrisia nazionale» la visione che persiste nel paese rispetto alla scuola, considerata sulla carta una struttura di eguaglianza, che darebbe a tutti eguali possibilità. Secondo uno studio del think tank Terra Nova, a 4 anni un bambino di famiglia povera avrebbe ascoltato 30 milioni di parole in meno di un suo coetaneo di famiglia agiata. E la scuola non riesce più a colmare questo gap. Nella narrazione nazionale, la scuola deve restare un «santuario», ma ormai è da tempo che i muri crollano e che gli scossoni della società entrano in pieno nelle aule. Di qui la crescita di scuole-ghetto, concentrate nei quartieri in difficoltà. E degli effetti di questo fenomeno: la scuola che nel passato permetteva di prendere l’ascensore sociale per le classi popolari, ora porta all’università un terzo di figli di quadri superiori e di professioni liberali (che nella società sono il 15% della popolazione), percentuale che sale a più del 50% nelle Grandi scuole, con entrata per concorso selettivo. In queste Grandi scuole (in particolare scuole di ingegneria o economia), c’è solo il 6% di figli di operai e impiegati.
Di qui il diffondersi di una vera e propria nevrosi nelle famiglie e la grande difficoltà che hanno i governi successivi a fare delle riforme. Il percorso scolastico è pressoché predeterminato. I corsi iniziano all’asilo (che non è obbligatorio, ma sempre più frequentato dai 2 anni e mezzo), con un ciclo che si conclude con la prima elementare (Cp) dopo tre anni di materna. La scuola primaria conserva ancora un po’ di libertà, anche sociale, nel senso che la strategia scolastica delle classi medio alte si mette all’opera a partire dal collège (4 anni di media) e permette ancora alle elementari classi miste socialmente e per l’origine etnica. Il collège, considerato l’anello debole del sistema, scatena già la caccia alla buona scuola da parte delle famiglie che (soprattutto a Parigi) inventano di tutto per mostrare di avere la residenza nelle zone dove si sono quelli migliori (le iscrizioni avvengono per quartiere, ma si può cambiare zona giocando sulle «opzioni»). La scelta del liceo dipende dai professori del collège e da un sistema informatizzato che a Parigi soprattutto funziona come la Borsa valori: bisogna avere un certo livello di voti per poter sperare di iscriversi in un buon liceo, ma il livello dipende dal numero delle domande. Stesso sistema per l’indirizzo, dopo un primo anno di seconde générale (a meno di non essere già stati indirizzati verso le scuole professionali). Il Bac S (scientifico) è il più ricercato, perché apre tutte le porte: la scuola francese promuove sulla matematica. Poi, l’accesso alle classi preparatorie per i concorsi alle Grandi scuole dipende dai voti mentre l’iscrizione all’università, sulla carta in gran parte libera, lascia adito a molte incognite: per le università più ricercate, i sindacati degli studenti denunciano una selezione nascosta (attraverso il risultato del Bac). Sta di fatto che la selezione avviene per entrare al secondo anno, sulla base dei voti: l’abbandono al primo anno di licenza è enorme, solo 4 studenti su dieci passano al secondo anno, il 26% ripete e il 32% lascia per sempre.
In questo clima, è molto difficile proporre delle riforme. La scuola francese boccia molto, anche se tutte le ricerche internazionali affermano che ripetere serve a poco (il 67% degli alunni entrati in sixième – prima media – nell’89 avevano ripetuto o ripeterà almeno un anno prima della fine della scuola secondaria, ora la percentuale è un po’ diminuita). Ogni anno infuriano le polemiche sul degrado delle docenze, che secondo i detrattori non trasmetterebbe più gli insegnamenti fondamentali: eppure, su 864 ore annuali di corsi alle elementari, 360 sono dedicate al francese e 180 alla matematica. La legge ora stabilisce che ripetere l’anno deve diventare un «ultimo ricorso», ma nella pratica insegnanti e famiglie sono reticenti ad evitare le bocciature. Cambiare i programmi solleva polemiche a non finire. L’ultima battaglia è in corso alle elementari, attorno alla proposta del ministero dell’Educazione nazionale di dedicare qualche ora all’abc dell’eguaglianza, per sconfiggere gli stereotipi di genere. La destra ha organizzato manifestazioni contro una supposta «teoria di genere», accusando la scuola di pervertire l’ordine naturale. Altro scoglio: la modifica dei «ritmi scolastici» alla materna e alle elementari, per evitare le giornate di corsi dalle 8,30 alle 16,30, facendo frequentare le aule anche il mercoledì mattina, giorno tradizionalmente libero. I comuni dovrebbero proporre delle attività complementari dopo le 15,30, alleggerendo le giornate di corso. Ma insegnanti, famiglie (e persino medici) affermano che andare a scuola 4 giorni e mezzo «stanca» i bambini.