Un invito a trovare «una soluzione condivisa» in un clima già da guerra fredda in cui ognuna delle due parti si rinfaccia la colpa della divisione e dove i rapporti personali sono logori. La lunga e dettagliata relazione di Ivan Pedretti nel primo giorno del congresso dello Spi al Lingotto di Torino era molto attesa in vista della corsa fra Landini (ieri silente) e Colla (che ha detto: «se abbracciamo la democrazia la Cgil la teniamo unita») che si chiuderà a Bari fra meno di due settimane. I pensionati sono i principali ispiratori della recente candidatura di Vincenzo Colla e con i loro 2,7 milioni di iscritti su un totale di 5,5 milioni di tesserati alla Cgil hanno la forza dei numeri – e delle risorse. Storicamente vige la cosiddetta «quota di solidarietà»: lo Spi cede una parte dei delegati (circa il dodici del totale) a cui avrebbe diritto alle categorie attive, i 103 delegati che sono già stati decisi e suddivisi in maniera quasi uguale fra Landini e Colla. Ognuna delle due parti però pensa di essere in vantaggio e dunque gli inviti ad “una soluzione unitaria” cadono nel vuoto. Si va verso la conta a Bari dove la nuova e complicata procedura di elezione che prevede il passaggio dall’Assemblea generale fa aumentare gli interrogativi sull’esito finale.

In un congresso innovativo, partito con l’arpa celtica rock di Micol Picchioni, il leader dello Spi ha fatto una relazione a 360 gradi evitando i temi più divisivi – la Tav così sentita a Torino – designando il ruolo dei pensionati rispettando lo slogan del congresso: «Qui si fa il futuro».

Il tema centrale dell’aumento dell’età di vita diventa la rivendicazione di un «mondo a misura di anziani che sono ormai un terzo della popolazione dove le città e la vita quotidiana siano ridisegnati grazie all’innovazione tecnologica». Da qui si passa al tema sentitissimo della sanità: la critica «al welfare contrattuale che sta togliendo risorse alla sanità pubblica» è la molla per chiedere «una vertenza unitaria per una sistema sanitario nazionale da rilanciare». Pedretti è stato il primo in Cgil a definire l’attuale governo «di destra»: «una sorta di agnosticismo che cancella ogni forma intermedia fra leader e popolo e che continua a fare dell’antipolitica la propria politica», ha aggiunto. La priorità politica per lui è il rilancio della «sinistra»: «Abbiamo bisogno di un centrosinistra che sappia tenere insieme le ragioni del radicalismo con quelle del riformismo, di partiti radicati nel territorio, non comitati elettorali che sottostanno al capo di turno».

Pedretti auspica la «costruzione di una costituente per l’unità e per un nuovo sindacato unitario: il gruppo dirigente di Cgil, Cisl e Uil si assuma la responsabilità di costruire questo progetto politico, noi lo faremo con Fnp Cisl e Uilp». Ma la parte che tutti attendono è quella sul congresso Cgil. Pedretti cita Bruno Trentin per criticare la scelta di Camusso di indicare un successore. «Penso che la Cgil debba attenersi alle sue regole. Sostenere che il candidato della segretaria uscente sia in sintonia con il popolo e che il resto del gruppo dirigente sia invece la burocrazia è lo snaturamento della democrazia interna. Se così fosse ci incammineremmo su una china simile a quella del populismo», ha aggiunto Pedretti. «Se il segretario venisse eletto anche con un solo voto in più lo riconosceremmo come nostro», mentre al saluto al «segretario generale che ci lascia» non segue nemmeno una stretta di mano fra i due. I delegati – negli interventi dal palco non sono mancati i pro-Landini – paiono più divisi di quanto gli applausi a Pedretti lasciassero immaginare.
Susanna Camusso interverrà oggi pomeriggio. Ieri ha commentato brevemente l’invito di Pedretti: «Una soluzione condivisa è sempre stato il nostro obiettivo ma mi pare ci sia poca disponibilità che è poi quella necessaria a non autoproporsi”.