«Gli sbarchi continuano ininterrotti, centinaia di donne sono accampate, spesso con i loro figli e figlie, ai confini dell’Europa, migliaia sono le donne rifugiate nel nostro paese: la maggior parte di loro ha subito violenza o può essere a rischio di subirla. Di loro non sentiamo parlare mai, né loro, in moltissimi casi, hanno sentito parlare dei centri antiviolenza». La denuncia è arrivata ieri da Antonella Veltri, presidente di Di.Re., alla vigilia della Giornata internazionale dei diritti umani (che è oggi, 10 dicembre). Nel 2018 la rete dei centri antiviolenza aveva infatti lanciato il progetto Leaving violence. Living safe, che adesso, in partnership con UNHCR, l’Agenzia ONU per i rifugiati, si rafforza di un ulteriore strumento al fine di sostenere al meglio le migranti richiedenti asilo e rifugiate. Si tratta della condivisione di un elenco di mediatrici culturali formate appositamente; tra le lingue di cui c’è disponibilità: curdo, inglese pidgin, bangla, arabo, russo, spagnolo, francese. Tramite i Centri antiviolenza di riferimento, le mediatrici potranno dunque essere contattate da enti e organizzazioni del territorio. Un passo importante che si aggiunge alla pratica già in atto accanto alle donne che si sono rivolte ai Centri: sono 75 da gennaio a ottobre 2021, 395 dal 2018 a oggi. La presenza di mediatrici culturali apposite (sono 64 in tutto) consente infine un lavoro più dedicato e di sponda tra le interne al Centro, come mostra il nuovo video Leaving violence. Living safe, pensato da Koinoé Comunicazione e realizzato da Alan Maglio, Walter Marocchi e Valentina Rinaldi, che entra nella Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano. Di questa alleanza e politica delle relazioni è convinta anche Alan Amini, rifugiata e ora mediatrice culturale al GOAP, Gruppo operatrici antiviolenza e progetti di Trieste: «oggi ascolto altre donne che raccontano la propria storia: non è solo la storia della violenza che hanno subito, ma anche la storia del coraggio e della forza che hanno avuto per affrontare il viaggio dai loro paesi fin qui, è anche il racconto dei loro progetti, dei loro sogni per il futuro. Fare la mediatrice culturale in un centro antiviolenza significa tenere insieme tutti questi aspetti, perché possano riprendere la loro vita in autonomia».

Il punto importante è, inoltre, illuminare il nodo che sta a monte, ovvero la violenza subita da donne richiedenti asilo e rifugiate; «non è solo invisibile ma anche estremamente dilagante», dice Chiara Cardoletti, Rappresentante UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino. «La possibilità di contare su mediatrici culturali adeguatamente formate è fondamentale per avvicinarsi a loro» prosegue «sostenerle e individuare non solo l’assistenza di cui hanno bisogno ma aiutarle a costruirsi un nuovo progetto di vita».

«Formare le mediatrici culturali sulla violenza è stato da subito un impegno importante per il progetto Leaving violence. Living safe», specifica Irina Lenzi che insieme a Rebecca Germano coordina il progetto. «Mettere a disposizione dei territori mediatrici culturali formate sulla violenza è una delle Proposte strategiche elaborate dal progetto per rendere più inclusivo il sistema antiviolenza italiano. Che ora diventa realtà».