CLASSICI. Twin Peaks. Gli albori della serie. I misteriosi interstizi, oscuri intervalli dell’immagine, qualcosa di viscoso che macchia le gonne di Audrey, il suo sguardo lascivo: un desiderio femminile precoce, una perdizione adiacente o coincidente con il nucleo della famiglia occidentale. Venticinque anni dopo, la terza stagione: visibilio, costellazione senza precedenti di sogni, escrescenze purulente, vibranti.
Conan ragazzo del futuro. Miyazaki, anno 1978: anticipa di qualche anno – dal punto di vista del tratto animato, del concetto ucronico di tempo e di futuro, degli spazi immaginati, accrocchi a metà tra archeologia e fantascienza – quello che forse resta il suo capolavoro, Laputa. Castello nel cielo.
Lost. Sontuoso lavoro di sceneggiatura che tenta di sabotarsi. J. J. Abrams dirotta un aereo verso l’isola delle apparizioni germinanti come in un post-mortem, al di là della nozione di realtà e narrazione.
Star Trek. Racchiude tutto l’immaginario dei viaggi interstellari, affastellati in Urania, o in cose stereotipe, cartapeste come Terrore nello spazio, fino almeno al formidabile Spazio 1999: lo spazio dentro, sicuro d’interni (di astronavi) insidiato da quello siderale, infinito fuori.

IMPERDIBILI. Breaking Bad. La serie più straordinaria mai concepita insieme alla terza stagione di Twin Peaks. Come nel grande anti-romanzo novecentesco: personaggi che lottano per affermarsi anche al di là dell’autore e per polverizzarsi. L’ultima stagione è la cosa più esaltante si possa vedere in giro.
True Detective. Il genio di Nic Pizzolatto manovra due interpreti straordinari (Matthew McConaughey e Woody Harrelson) alla ricerca del principe degli assassini seriali.
The Knick. Diretto da Steven Soderbergh. «L’ausilio dell’arte medica, lenimento, pezzuole»sotto la luce ingiallita che oramai è propriamente soderberghiana. Tra amore e dissipazione, regna lo stile allusivo, spesso ironico di un grande regista.
Il trono di spade. Spudoratamente vistoso, sovraccarico, tanto da risultare raffinato e arguto per eccesso di patina. Narrazione intricata, stratificata in politica, tant’è che uno come Scurati ne risulta appassionato, sul trono regna un gusto mascolino, grossolano (che si fa stile), per i corpi, la violenza, il sesso.

ECCENTRICI. Mindhunter. Tra i produttori e registi risulta David Fincher. E infatti risuonano cose come Seven e Zodiac. Straordinario nella prima stagione il personaggio di Kemper.
Stranger Things. Baudelaire direbbe «l’infanzia ritrovata a volontà». Gli anni Ottanta, romantici e plasticosi, ritrovati bambinescamente. E apoteosi di citazioni da Spielberg a Carpenter.
Sex education. Apparentemente anodina dal punto di vista narrativo, ma a ben guardare orchestrazione di psicologie, storie d’amore, fragilità epidermiche: Sex education è invito gioioso e straripante alla diversità, ad accogliere l’alterità. Splendida colonna sonora.
The OA. Pastiche ipertrofico, The Oa si muove tra registri diversi: dal referto ruvido della giovinezza alla fantasticheria, a qualcosa in odore di new age, fino a cavalcare filosofie pseudo-nietzschiane e misteriosofie. «Cinema» che si ripiega su di sé, che si guarda dentro, addosso.
Adventure Time. Scritta da Patrick McHale (lo stesso di Over The Garden Wall), è una serie animata (satura di tinte fauve, accecanti, stupefacenti) che si svolge in eco di presenze (appese all’improvviso, smorfia e mutria da un qualche angolo della casa), di voci serpeggianti da altre dimensioni. Tra inquietudine e malinconia: Finn e Jake, il Re Ghiaccio, La principessa Gommarosa s’incantano in spazio-tempi lynchiani, post-apocalittici.

COLPO DI FULMINE. Fleabag. È intessuta di una comicità traboccante, anche a tratti nera, torva che si rivolge innanzitutto a se stesso, al proprio tessuto narrativo, e alla dinoccolata protagonista (Foebe Walter-Bridge che è anche l’autrice della serie); e di una malinconia inattesa in cui l’animo di Fleabag si denuda al di là della verbosità, del suo straparlare. Vige il sesso, più detto, appunto, che mostrato, come tentativo di orientarsi nel mondo: pose alienanti (lei sodomizzata che parla indifferente al pubblico), risibili, fino al paradosso d’amore.