I Il «politically correct? È un problema che riguarda i ricchi, i borghesi, chi non deve confrontarsi con altre difficoltà più sostanziali». È il giorno di John Waters, irrefrenabile, coloratissimo, allegro, regala al pubblico locarnese una magnifica conversazione «provocato» con amorosa intelligenza da Albert Serra. Al regista di Polyester e di Serial Mom il festival ha consegnato il Pardo d’onore e il suo cinema allegramente camp ha ispirato la nuova sezione della Piazza Grande, Crazy Midnight dedicata ai cinefili nottambuli.

UN’EDIZIONE sotto al segno di Waters dunque questa numero 72 che ha inaugurato la direzione di Lili Hinstin? Non proprio. Del resto: come definire oggi un sentimento di «trasgressione»? Questione di linguaggi verrebbe da dire, e non sempre le immagini viste questi giorni appaiono capaci di invenzione nel dialogo col proprio tempo.

Il pardo d’oro è andato a Vitalina Varela – anche premio per la migliore attrice – di Pedro Costa, una decisione come ha sottolineato la presidente della giuria, Catherine Breillat, unanime per un’opera destinata a rimanere nel tempo. Verrebbe da dire che non è un verdetto a sorpresa perché in tutta la competizione quello di Costa era il film più forte, più atteso, di un regista che fa cinema da molti anni, presente spesso nei festival importanti – Cannes, Venezia – tra molti esordienti o quasi, anche se sappiamo che nulla è mai scontato e spesso accade che i bei film nei palmarés vengano ignorati – difatti lui non ha mai vinto finora un premio così importante.

Al di là dei premi però il concorso principale era senza grandi punte o colpi di fulmine anche nelle imperfezioni, a parte alcuni film, penso a Technoboss – rispetto alla sezione parallela dei Cineasti del presente (ma non è un problema solo di quest’anno) , la vicinanza della Mostra del cinema di Venezia – e nei mesi precedenti c’è Cannes – di certo pesa ma dovrebbe diventare una ragione in più per riposizionare la propria linea editoriale.

TRA I RISULTATI migliori del «palinsesto» c’ è stata la capacità di mettere in dialogo autori del passato col presente; per esempio la riscoperta di un regista svizzero (tedesco) come Fredi Murer, poco conosciuto all’estero, autore visionario e precorritore dei tempi, profondamente politico nell’invenzione di mondi, forme, e «nouvelle vague» a cui è stato consegnato il premio alla carriera. Grazie alla Cinématheque suisse sono stati presentati i restauri di Höhenfeurer(1985), Wir Bergler in dem Bergen sind eigentlich nichts schuld, dass wir da sind (1974) e soprattutto Grauzone (1979), film «maledetto» all’epoca della sua uscita, condannato dal pubblico e dalla critica svizzeri mentre il suo autore veniva messo sotto controllo dalle autorità elvetiche.

Bianco e nero con atmosfere vicine al Godard di Alphaville, racconta la crisi di una giovane coppia piccolo-borghese durante un fine settimana; all’insofferenza verso i riti «sociali» e intimi dei due fa eco il terrore che l’annuncio di una misteriosa epidemia ha diffuso nel Paese. I sintomi parlano di voglia di muoversi, di guardare l’alba, di una memoria che cancella il passato … È terrorismo? E se fosse invece una montatura mediatica? L’autore dell’inserzione apparsa sul giornale è misterioso, forse un giornalista stesso?

Nella sua fantascienza visionaria Murer allude a molti nodi interni del suo Paese – per esempio la figura dell’industriale che spia i suoi dipendenti, quasi un microcosmo dell’intera società svizzera rimanda al produttore di armi Bührle – anticipando le tensioni che porteranno al movimento zurighese degli anni ottanta. Ma soprattutto nel gioco del controllo e di artificio dell’informazione si delinea il nostro presente di fake news e social, telecamere di sorveglianza e dispacci di montature.
La realtà del tempo e quella oltre il tempo: il cinema come invenzione di mondi, poetica e politica. Una sfida sempre attuale.